THE EXCHANGE (Cannes, concorso)

Mariarosa Mancuso

    L'ultimo film del venerato maestro Eastwood – uno che ha saltato la fase “giovane promessa” per essere subito, e rimanerci a lungo, “quel fascista dell'ispettore Callaghan” – è una favola del figlio cambiato. Troppo lungo per quel che ha da raccontare, divaga su un paio di denunce di sicuro effetto sullo spettatore che al cinema si addolora per le ingiustizie (e un attimo prima ti ha infilato senza parere un gomito dentro il costato per superarti nella fila): la corruzione della polizia e il manicomio. A giudicare da quel che il predicatore John Malkovich racconta ai microfoni della radio, il problema della sicurezza a Los Angeles, nel 1928, era tale e quale all'Italia di oggi. Angelina Jolie va al suo lavoro da sorvegliante telefonista – abiti charleston elegantissimi, su pattini a rotelle da ufficio – e quando torna a casa il figlio non si trova. Qualche mese dopo, la polizia trova e riconsegna il bambino: ma il nuovo è più basso, poco somigliante, con denti diversi e circonciso. Quando lo dice, la prendono per pazza. Il resto somiglia molto a “Ragazze interrotte”.