WALTZ WITH BASHIR (Cannes, concorso)

Mariarosa Mancuso

    Il passaparola (prima della proiezione) lo dava come possibile Palma d'Oro: era considerato un film israeliano di denuncia, sul massacro di Sabra e Chatila. Il passaparola (dopo la proiezione) ha sistemato il regista nella categoria “gli israeliani che ci piacciono”, perché criticano qualunque governo abbia governato Israele nei sessant'anni della sua esistenza. Non fatevi fuorviare: “Waltz with Bashir” è uno straordinario film sulla memoria. Individuale, prima che collettiva. Quel tipo di memoria che, quando ti mostrano un fotomontaggio di una tua foto con un luna park sullo sfondo, dicendoti che sei tu da bambino, prima o poi cominci a raccontare che gusto di gelato hai mangiato quel giorno. Disegnato benissimo e totalmente autobiografico, prende spunto dall'unico ricordo che il regista conserva di quando era giovane soldato durante la prima guerra del Libano. Tre ragazzi che si bagnano in mare, tra i palazzi distrutti. Per memoria collettiva, come Ari Folman fa scrivere sulle note per la stampa: “La piena responsabilità del massacro ricade sui falangisti cristiani”. Lo fecero per vendetta dopo l'assassino del presidente Bashir Gemayel. Da qui viene il titolo. Finale con le foto dei cadaveri, discutibile e inutile.