LEONERA (Cannes, concorso)

Mariarosa Mancuso

    La tripletta del concorso batte bandiera francese e schiera il sessattottino Philippe Garrell, l'impegnato Laurent Cantet, il bravo Arnaud Desplechin. Le doppiette sono italiane e argentine (l'altro, “La mujer sin cabeza”, lo firma Lucrecia Martel). Per “Leonera” si intende la gabbia dei leoni, equivalente carcerario della fossa dei serpenti manicomiale. Lì finisce, per una storiaccia con due uomini e un coltello, la finta bionda Julia. Nella tremenda scena iniziale, si sveglia sporca di sangue vicino a un cadavere con i lividi, e non riesce a ricordare cosa sia successo la sera prima. La arrestano, e poiché è incinta (del tipaccio morto, lei dice) la sistemano nel settore riservato alle madri con prole. Il bambino nasce – sopravvivendo a qualche pugno abortivo – e Julia finalmente si lava e si rassetta. Ovvio che a quel punto si vedrà portare via il piccino. Dramma carcerario – con l'obbligatoria rivolta – girato con una certa secchezza. E un deludente finale aperto. Non piacerà a Sean Penn, che preferisce il pathos delle grandi catastrofi, e intanto ha già fatto tutto quel che aspettavamo da lui: fumare dove non si può, guardare in cagnesco i fotografi, bere di nascosto, parlare male di Bush. Sarebbe un colpo di scena se si ravvedesse e premiasse un bel film.