LE SILENCE DE LORNA (Cannes, concorso)

Mariarosa Mancuso

    Sono a caccia della terza Palma d'Oro, i fratelli belgi. E finalmente a qualcuno tra i supporter sfegatati – purché protetto dall'anonimato, i “qui lo dico e qui lo nego” ai festival sono la regola – scappa di bocca il mugugno: “Fanno sempre lo stesso film”. Il grande avvenimento di “Le silence de Lorna” consiste nel cambio di macchina da presa, da una super 16 millimetri a una 35. Variazione appassionante quanto una pastiglia di Tavor, eppure commentata dal diabolico duo con toni lirici: “Eravamo interessati al peso e all'inerzia del nuovo strumento”. Lo spettatore già sbadiglia prima che la storia cominci, cupa e triste. Poiché siamo in un film dei Dardenne – equivalente cinematografico della legge di Murphy – sappiamo che tutto quel che può andar male andrà malissimo, e il resto sarà catastrofe. Lorna, albanese, sposa un drogato belga per avere la cittadinanza, con la speranza che muoia presto. Ma lui si disintossica, quindi bisogna ucciderlo con un'overdose. Per sposare un russo, passandogli la cittadinanza appena conquistata, e con i soldi guadagnati mettere su lo snack bar dei propri sogni assieme al fidanzato vero.