IL RESTO DELLA NOTTE

Mariarosa Mancuso

    Caso curioso di scrittura a macchia di leopardo. I romeni - cattivi in proprio, complici, o semplicemente giovanotti che hanno perso la mamma e vivono da sbandati - sono credibili. Funziona bene anche la coppia separata - operaia lei, piccolo malvivente lui - che si disputano un figlio ragazzino. Molto aiuta, in questo caso, la presenza di Stefano Cassetti, che non incrociavamo da “Roberto Succo”, il film che Cédric Khan girò nel 2001. Protagonista un giovanotto di Mestre che prima uccise i genitori, poi scappò dal manicomio criminale, poi terrorizzò la Francia, sparando e stuprando, poi tornò in Italia e morì suicida in carcere (dal caso di cronaca, il fu Bernard-Marie Koltès aveva tratto un testo teatrale, messo in scena da Peter Stein). Come attore, aveva scelto uno sconosciuto adocchiato per caso in un bar, che per giunta parlava assai male il francese. Era Stefano Cassetti, che qui ripropone un personaggio abbastanza simile (intanto lo spettatore si chiede: perché nei sette anni trascorsi i registi italiani non si sono accorti di lui? Ha la faccia troppo da cattivo? Gli zigomi troppo scolpiti e gli occhi troppo gelidi per i ruoli piacioni?). Non funziona per nulla la coppia che vive nella villa fuori Torino. Molto guasta, in questo caso, Sandra Ceccarelli, eternamente uguale a se stessa. Da quando fu salutata come una rivelazione e ottenne la Coppa Volpi a Venezia per “Luce dei miei occhi”, ella non recita. Ella freme, sussulta, guarda di sottecchi la macchina da presa, aiutandosi con il linguaggio dei capelli: sciolti quando è disperata, quando viene aggredita dagli zingarelli e quando licenzia la domestica sospettandola di furto; raccolti a chignon quando ha i vapori al teatro dell'opera, credendosi la contessa Serpieri in “Senso” di Luchino Visconti. Molto fa anche la scrittura, che qui si infila nel tunnel dei luoghi comuni. I ricchi vivono in ville con tappeti persiani, ascoltano musica classica, indossano cappotti di cammello che neanche Marlon Brando in “Ultimo tango a Parigi” (o Ciccio Ingrassia in “Ultimo tango a Zagarolo”), sfottono il fidanzatino della figlia perché nato in Sicilia, quando si dicono “sono solo un po' triste” hanno il pianoforte nelle pause. Peccato: una delle tre storie che si incrociano nel finale rischia di rovinare le altre due. Bella la fotografia notturna e miserabile, datata la luce calda che avvolge i benestanti.