CHE (Cannes, concorso)

Mariarosa Mancuso

    Nell'intervallo hanno distribuito il cestino della merenda. Tramezzino, bottiglia d'acqua dello sponsor, barretta energetica di nota multinazionale: il minimo indispensabile per riprendersi da “Che Guevara a Cuba” e attaccare “Che Guevara in Bolivia”. Quattro ore e mezza in totale. La rivoluzione minuto per minuto, solare ai Caraibi e verdastra in America Latina, ma sempre senza tagli. I paesani si presentano, vengono selezionati, gridano “patria o muerte”, negli intervalli tra una sparatoria e l'altra si siedono sui banchi di scuola. Più che un esercito messo insieme da Fidel Castro per combattere Batista, sembra la scuola delle Orsoline. Si fanno deragliare i treni carichi di armi, si danno ultimatum (“altrimenti vi riterrò responsabili dei morti a cui spariamo”, spiega il Che tra il plauso generale), ma guai se quattro ragazzotti rubano una macchina, saranno costretti a restituirla. Benicio del Toro ha investito soldi suoi, quindi compare in tutte le scene: con il basco, senza basco, durante il discorso del 1964 all'Onu, con il piumino da cipria prima di un'intervista tv. Sì, gli somiglia. No, non basta per star svegli.