ONORA IL PADRE E LA MADRE

Mariarosa Mancuso

    La rivista Satisfiction (si trova in libreria, su internet, è appena sbarcata su Radio Capital, e prossimamente andrà su Rai Tre) ha inventato le recensioni “soddisfatti o rimborsati”. Se il libro calorosamente raccomandato non risulta di vostro gradimento, o se dopo la prova lettura siete convinti che il recensore l'abbia sparata grossa, chiamando capolavoro una sovrana schifezza, Gian Paolo Serino - che ha inventato la formula - vi rimborserà il prezzo di copertina. Viene voglia di fare lo stesso per “Onora il padre e la madre”, certi che nessuno vorrà indietro il prezzo del biglietto: film tanto perfetti da dare i brividi se ne vedono di rado, meno che mai girati da registi nati nel 1924 (e che, vivaddio, mai e poi mai si sognerebbero di farsi chiamare “Maestro” durante le interviste). Scommessa già persa: Alessandra Levantesi, sulla Stampa, arriccia il naso, imputa al film parecchi difetti, e chiama “trovata” un andirivieni narrativo difficilissimo, risolto in maniera magistrale. Merito di una regia sicura, che si prende tutte le libertà che vuole (pensate a come risulta stucchevole il giochetto dei punti di vista in “Prospettive di un delitto”: qui è assolutamente necessario per rivelare i segreti di famiglia, non sembra neanche la stessa cosa). E merito di un copione quasi perfetto. Lumet racconta di aver fatto solo una piccola modifica alla sceneggiatura di Kelly Masterson: ha preso i due amici spiantati, in cerca di soldi facili, e li ha fatti diventare due fratelli. Sullo schermo, sono Ethan Hawke e Philip Seymour Hoffman. Uno biondo e uno moro, non si somigliano per nulla, ma sono così bravi che neppure per un attimo viene il dubbio che non siano cresciuti nella stessa stanza, non abbiano mangiato gli stessi hamburger, non abbiano litigato ferocemente, non abbiano ricevuto le stesse carezze (uno un po' meno, ma anche questo nodo verrà al pettine, ingigantito dagli anni trascorsi). Hanno bisogno di soldi, uno per gli alimenti alla moglie separata, l'altro per rimetterli nelle casse della ditta, dopo che li ha usati per pagarsi i vizi. Il modo scelto per procurarseli – rapina in gioielleria - conduce dritto alla tragedia greca. Oppure, se preferite, a “Delitto e castigo” (ma con le parti noiose tagliate via). Apertura su una bella e adulta scena di sesso, già collocata nella nostra personale antologia, a pari merito con quella di James Gray, in “I padroni della notte”.