DENTI

Mariarosa Mancuso

    La filosofa femminista Camille Paglia viene ringraziata nei titoli di coda. Durante una sua lezione all'università il regista sentì per la prima volta parlare di vagine dentate: il mito lo affascinò tanto da ricavarne un film. Horror, va da sé, ma a parti rovesciate. Sono i maschi ad avere la peggio, fin dal bambinetto che nella prima scena allunga una mano verso la sorellina per giocare al dottore e si ritrova un dito sanguinante. Anche se il Village Voice sostiene che siamo di fronte al primo film di paura che scatenerà un passaparola tra femmine, poi saranno loro a trascinare in sala mariti e fidanzati, sconsigliamo “Denti” al primo appuntamento (per i successivi, solo previo accordo, a patto che entrambi siate in cerca di stranezze dopo aver visto già tutto, o volete sapere cosa fa nella vita Mitchell Lichtenstein, figlio del pop artista Roy Lichtenstein). Come un exploitation movie in puro stile anni Settanta, “Denti” ha la sua bella spiegazione antropologica (le storie in cui l'eroe deve conquistare una femmina temibile) e freudiana (le angosce di castrazione che affliggono i maschi), con uso di immagini e statuette illustrative, per chiarire allo spettatore che ogni scena sanguinolenta ha il suo perché. In realtà, la bionda Dawn vorrebbe arrivare vergine al matrimonio, per questo fa parte di un gruppo che si chiama The Promise e propugna la castità. Poi le cose non vanno per il verso giusto, e in una scena da Laguna Blu dei poveri il limite viene valicato con impressionanti conseguenze. Ammesso e non concesso che qualche maschio si lasci trascinare, uscirà esattamente a questo punto del film. Perdendosi la visita dal ginecologo scettico, e la violenza del fratellastro Brad (era lui il moccioso con il dito morsicato nella prima scena, quando si dice l'imprinting). Il regista dichiara che i film dell'orrore riusciti raccontano le paure primordiali, che il mito non dice nulla sulle donne, ma spiega molte cose sugli uomini, che in fondo – perché no? – la violenza contro le donne unita all'evoluzione della specie avrebbe potuto produrre una ragazza come Dawn. Ha una buona ragione per ogni cosa – il sangue che manca sul corpo della ragazza, la pecetta che sul manuale di anatomia copre il sesso femminile, la centrale nucleare aggiunta alla cittadina con il computer – ma non sufficiente talento per mettere insieme satira e splatter.