UN GIOCO DA RAGAZZE

Mariarosa Mancuso

    Appunti per “Un gioco da ragazze”. Al titolo (virgolette nostre, l'originale era un impasto di tutte maiuscole) seguivano due paginette, fortunosamente ripescate tra i materiali utili per l'imbeccata stampa, cose che una volta si chiamavano veline, senza pericolo di far confusione. Le abbiamo lette da cima a fondo, la curiosità è femmina (o almeno così risultava dalle commedie americane dove lui ribatteva, a lei che si era appena ficcata nei pasticci, “allora cerca di non essere troppo femminile”). Invece di copiare le paginette così com'erano, con il loro titolo forse pasoliniano (“Appunti per un film sull'India” era il modello?), abbiamo cercato di capirci qualcosa. Si invoca una storia più realistica possibile, uno sguardo senza romanticismi sulle ragazze cattive e manipolatrici. I personaggi di riferimento sono Amanda Knox e Erika Di Nardo, il modello da imitare si chiama Kate Moss, i luoghi da evitare sono le maxidiscoteche: “c'è un'anarchia totale e si può trovare di tutto. Sinistra, destra: tutti insieme a impasticcarsi” (quando si impasticcavano separati era meglio? Siamo pronti per un bel dibattito su meriti e demeriti dell'ecstasy rispetto all'LSD?). E' sempre interessante uscire da una proiezione e farsi spiegare da un regista – o da chi per lui, le due paginette parlano del regista in terza persona, stile Maradona, quindi non abbiamo certezze – cosa avremmo dovuto vedere. E misurare la distanza con quel che abbiamo (realisticamente) appena visto sullo schermo. Gli intenti sono immancabilmente nobili, quando non moralistici. Nessuno si preoccupa mai della tecnica necessaria per trasferirli sullo schermo. “Un gioco da ragazze” mostra ricche adolescenti della provincia italiana vestite come se fossero uscite da un manga giapponese: gonne corte, calzette bianche, le immaginiamo in procinto di vendere la biancheria appena indossata su internet. Già siamo increduli, quando entra in scena Filippo Nigro. Negli Appunti, “il giovane professore di letteratura italiana capitato in quella classe con il sogno di comunicare alle allieve gli alti valori della convivenza civile”. Roba da libro “Cuore”. Senonché il giovanotto, sullo schermo, risulta uno sciocchino che non sa tenere le distanze. E finalmente capiamo che la sciagura del film sta nell'intreccio di De Amicis con il pornosoft.