RACHEL STA PER SPOSARSI

Mariarosa Mancuso

    Tante musiche di tanti generi e una torta di nozze a forma di elefantino blu, in sostituzione degli sposini di zucchero che resistono a ogni moda (esistono anche in versione per gay, uno con i baffi uno senza baffi, ma immancabilmente in abito scuro), mostrano che il matrimonio è multi-culturale. Infatti fu accolto a Venezia dal coretto “ecco l'America che ci piace” e da invocazioni a Obama. E' anche un matrimonio multi-rissoso, e fa venire cattivi pensieri: meglio nascere figli unici, se femmine senza l'ingombro di una sorella, un maschio risulta meno importuno (visto che stiamo sognando, magari anche orfani: mamma Debra Winger, che torna al cinema dopo una lunga pausa e molte invettive contro Hollywood, ha anche lei la sua parte di colpa). Se poi una sorella deve esistere, meglio che non sia fuori di testa, in licenza premio per le nozze (“devo andare a pisciare in un bicchiere tutte le mattine e dichiararmi pericolo pubblico” annuncia appena entra in casa). La sorella ingombrante, agli occhi della sposa che vorrebbe essere felice ma teme che le ruberanno la scena anche quando “camminerà per quella maledetta navata” (copyright Cameron Diaz, nessuno ha mai descritto meglio le smanie di una ragazza per matrimonio), è Anne Hathaway. Brava nella parte drammatica come lo era stata nel “Diavolo veste Prada” (però per l'Oscar è un po' presto, le attrici brave sono decine, e allora che dovrebbe dire Mia Wasikowska, la ginnasta Sophie di “In Treatment”, senza bisogno di una famigliola a darle la battuta?). La sorella rassegnata è Rosemarie DeWitt (chi non si vanta di non guardare la televisione se ne è già innamorato guardando “Mad Men”: è l'amante di Don Draper, lo attende di pomeriggio in un appartamento del Villane e gli tiene da parte un po' di LSD). Jenny Lumet figlia di Sydney scrive la sceneggiatura, servita come canovaccio perché gli attori hanno molto improvvisato. Papà dovrebbe consigliarle un po' più di misura nell'uso delle orchestrine etniche, che ogni tanto dan l'impressione di essere lì per allungare il film. Dirige Jonathan Demme, fingendosi cineamatore e intrufolandosi tra i personaggi. I maschi di casa gareggiano su come si carica la lavatrice. Ovvio che lo considerano uno sport competitivo, mica qualcosa che serve a togliere di mezzo piatti e pentole sporche.