DAVANTI AGLI OCCHI

Mariarosa Mancuso

    Davanti gli occhi” come nella frase “prima di morire, ti vedi passare davanti agli occhi la vita intera” (non per fare i difficili, ma è troppo chiedere chi curerà il montaggio e la regia?, sarebbe terribile annoiarsi anche in quel momento). Quel riassunto delle puntate precedenti che il Lester Burnham di “American Beauty”, moribondo ma ancor cinico, commenta così (immaginate Kevin Spacey al suo meglio, prima che si perdesse in ruoli ridicoli). “Mi avevano detto che prima di morire tutta l'esistenza ti passa davanti agli occhi in un secondo. Per cominciare, non dura affatto un secondo, per me è stato molto più lungo. Ero al campeggio estivo, sdraiato a guardare le stelle…”. Seguono vari dettagli sulla nonna, un cugino con la Firebird nuova, qualche ragazza indimenticabile, un oceano di gratitudine “per ogni momento della mia piccola stupida vita”, lo sberleffo finale: “So che non avete idea di cosa sto parlando… ma non preoccupatevi, presto capiterà anche a voi”. Non è vietato tornare sull'argomento, costruirci sopra un film, farcirlo di fiori che sbocciano (ogni volta che la vita sorride e le ragazze pure), poi di tuoni e fulmini (ogni volta che la vita fa il muso e le adolescenti pure), aggiungere una micidiale lezione su Gauguin, con diapositive e obbligo di metafora: nessun fiore tra i capelli e nessun pareo può stare tranquillo quando la professoressa Uma Thurman sale in cattedra. Da ragazza – nei continui flashback l'attrice si chiama Evan Rachel Wood, piercing alla lingua in “Thirteen”, fidanzamento con Marilyn Manson – la vediamo nel bagno della scuola con l'amica del cuore (Eva Amurri, figlia di Susan Sarandon). Uno studente impazzito, mentre i tubi rotti schizzano acqua (sembra il concorso “maglietta bagnata”, e lo spettatore comincia ad avere qualche dubbio sul senso per il dramma del regista ucraino che girò il lacrimevole: “La casa di sabbia e nebbia”), le tiene sotto tiro e annuncia: “Ucciderò solo una di voi due”. Non è vietato sfruttare il massacro di Columbine, a patto che il risultato sia più interessante di “Elephant”, efebi biondi ripresi di schiena al rallentatore mentre camminano nei corridoi. Vadim Perelman riempie il vuoto di Gus Van Sant con il senso di colpa della sopravvissuta, un matrimonio in crisi, la brava ragazza che va in chiesa. Lo spettatore non riesce comunque ad appassionarsi.