EMBER – IL MISTERO DELLA CITTA' DI LUCE

Mariarosa Mancuso

    A  Bill Murray basta attraversare una stanza – o grattarsi la testa, o sedersi, o guardare perplesso verso la macchina da presa, o fare la pubblicità del whiskey, o portarsi a letto una sconosciuta, o rincorrere un treno in corsa – per non farsi staccare gli occhi di dosso. Anche se attorno c'è un film pasticciato come questo, un po' millenarista e un po' grottesco, ogni tanto ironico e improvvisamente serissimo (il finale, per esempio, mostra uno dei più ridicoli marchingegni mai immaginati da un'intelligenza sedicente superiore, e tanti cunicoli bui che Sigmund Freud dovrebbe passare all'incasso). Bill Murray attraversa la sala con la palandrana rossa del sindaco di Ember, il giorno dell'assegnazione degli incarichi, e fa risaltare tutto il kitsch che gli sta intorno. Siamo in una città sotterranea fondata per dar rifugio agli umani (mission: “L'unica luce in un mondo di tenebre”). Ma ora il generatore vecchio di duecento anni sta perdendo colpi, i black out sono frequenti, le scatolette di cibo stanno finendo, i politici rubano. Meno male che ci sono i ragazzini a salvare il mondo.