GIÙ AL NORD

Mariarosa Mancuso

    Più del “Fantastico mondo di Amélie”, appena un po' meno di “Titanic”. In cifre, oltre 20 milioni di spettatori. Dany Boon (originario della Cabilia algerina come Zinedine Zidane, aveva rodato il personaggio nordista a teatro) racconta un impiegato trasferito per punizione al Pas de Calais, luogo abitato solo da pedofili, alcolizzati e ritardati, dicono i pregiudizi (cercate di pensare a “L'humanité” di Bruno Dumont). Parte sotto il sole con la giacca a vento addosso, arriva sotto la pioggia battente, investe un pedone, appena lo sente aprir bocca crede di averlo rovinato per sempre. Poi comincia ad apprezzare i concerti di campane e a pisciare dai ponticelli. I non parigini ne hanno fatto una bandiera: è la rivincita del mare freddo e ventoso contro la Costa Azzurra, della semplice vita campagnola contro Sarkozy bling-bling (e ancora Carla Bruni non era all'orizzonte), della cucina saporita contro la nouvelle cuisine. In lingua: “nosautes” contro “vosautes”. Will Smith, che ha comprato i diritti per il remake americano, lo riassume così: un impiegato finisce in culo al mondo e scopre il vero senso della vita.