VALZER CON BASHIR

Mariarosa Mancuso

    "Il senso di colpa israeliano per il massacro di Sabra e Chatila", scrissero durante il Festival di Cannes i giornalisti a caccia di una bella dichiarazione contro gli Stati Uniti, contro Israele o contro entrambi, per ricavarci un titolo e strappare qualche riga in più (singolare che scelgano sempre gli unici due paesi le cui bandiere vengono bruciate in pubbliche manifestazioni, nessuno è perfetto). "Valzer con Bashir" non è un film su Sabra e Chatila. E' un film sulla guerra: sul coraggio che serve per andarci, la paura che si prova durante i combattimenti, la dolorosa constatazione che ogni tanto bisogna dichiararne una. Fa da sfondo il primo conflitto tra Israele e Libano, nel 1982. Ma potrebbe essere anche la Seconda guerra mondiale. "Valzer con Bashir" è un film sulla memoria e sulla rimozione, oltre che sulle dimenticanze che aiutano a vivere. La carneficina fu opera dei falangisti cristiani che volevano vendicare la morte di Bashir Gemayel, capo delle forze armate libanesi. Ari Folman a quei tempi era un giovanissimo soldato. Venti anni dopo, come il protagonista del suo splendido documentario, si era messo a fare lo sceneggiatore (tra altre pregevoli cose, della serie "In treatment") e non ricordava nulla di quel periodo. Finché un amico gli racconta un sogno, ricorrente e spaventoso: 26 cani rabbiosi, sempre 26, lo inseguono nella notte. "Sei andato da uno strizzacervelli? O da un massaggiatore shiatzu?" gli risponde Ari Folman, che appena uscito dal bar dopo la chiacchierata ha una sorta di flashback, ambientato sul lungomare di Beirut ovest: lui e due commilitoni che fanno il bagno, di notte, sotto una luce giallastra. Decide di indagare, interroga gli altri soldati (tra cui uno che si è trasferito ad Amsterdam ed è diventato ricco vendendo falafel, cibo vegetariano e al tempo stesso orientale, l'ideale per una città molto alternativa), va da uno psicanalista che gli illustra i brutti scherzi che i ricordi possono giocare, discute con i genitori sopravvissuti all'Olocausto. All'inizio Ari Folman voleva girare un documentario, montando le immagini e aggiungendo la propria voce narrante. Poi prese il materiale e lo girò al disegnatore David Polonsky, che ne ha fatto un film meraviglioso (e una graphic novel siglata Rizzoli-Lizard). Ogni sequenza ha il suo stile: da Fellini ad "Apocalypse Now", passando per "Mash".