IL DUBBIO

Mariarosa Mancuso

    Oltre al terribile dubbio che fa da scheletro al film (prima ancora, al premiatissimo e molto applaudito dramma di John Patrick Shanley che qui si improvvisa regista) sorge un piccolo dubbio. Come le hanno date quest'anno le candidature agli Oscar? Per sentito dire, a occhi chiusi, senza darsi la pena di guardare i film? Solo così possiamo spiegare la pioggia di nomination agli attori di “Il dubbio”. A cominciare da Meryl Streep, già accompagnata nel passaparola come “the camp performance of the year”, e va detto che, se non sei un travestito con una zeppa alta dieci centimetri o hai in testa la frutta di Carmen Miranda, non ti stanno facendo un complimento. (No, nessun errore, questo è il ruolo camp, non la sua parte in “Mamma mia”, più meritevole di candidatura). In testa, la poveretta ha una nera cuffia da suora legata sotto il mento, che fa ombra alla faccia con un effetto che vorrebbe essere drammatico. Solo chi non ha visto il film può lodarne la recitazione, contando sul fatto che “è brava sempre” (almeno una scarsa performance precedente c'è, in “Leoni per agnelli” diretto da Robert Redford: per esser bravi servono battute da recitare senza vergognarsi). Va meglio con Philip Seymour Hoffman, candidato come migliore attore non protagonista. Il personaggio è più sfaccettato, non getta via una scatola di mentine e una penna biro, guardandoli come strumenti del demonio. Siamo in una scuola cattolica del Bronx, l'anno è il 1964, suor Aloysius la regge con pugno di ferro scordandosi i guanti di velluto. Comincia a sospettare che padre Flynn abbia troppe attenzioni per uno studente, l'unico nero della scuola. Con l'aiuto di una suora più giovane, cerca di raccogliere informazioni. E via con altre due candidature. Amy Adams, che era molto brava in “Junebug” e in “Come d'incanto”, qui ha una sola faccia, stupita. E Viola Davis, madre del ragazzo nero, che piange con il moccio nella più breve scena che abbia mai procurato una candidatura da non protagonista. Un film come questo dovrebbe funzionare sull'ambiguità dei personaggi, non sulle inquadrature sbieche. Non su un regista tanto insicuro da raccontare prima, e mostrare poi. “Al pettegolezzo non si rimedia, provate a rimettere le piume dentro un cuscino strappato”, spiega il sacerdote durante la messa. Puntuali, nella lunga scena successiva, le piume che svolazzano.