OPERAZIONE VALCHIRIA

Mariarosa Mancuso

    La lavorazione del film, fermamente voluto da Tom Cruise che non vedeva l'ora di mettersi la benda sull'occhio e dire alle conferenze stampa: “E' stato molto difficile, ho dovuto esprimere tutto con solo metà faccia”, è stata quasi più complicata dell'attentato. Gli eredi del colonnello Claus von Stauffenberg, che nel 1944 attentò alla vita di Hitler per poter firmare una pace con gli alleati (dicono alcuni) o perché trovava i campi di concentramento indegni della Germania (sostengono altri), non volevano mister Cruise di Scientology nella parte dell'antenato. Il regista dei “Soliti sospetti” e di “Apt Pupil” (criminale nazista e ragazzino che vuol sapere i particolari macabri assenti dai libri di storia) non ha potuto girare nei luoghi originali. Molti incidenti hanno funestato la lavorazione. La data di uscita è stata spostata tante di quelle volte che sembrava uno scherzo. Finalmente arriva nelle sale, e finalmente abbiamo capito in che cosa consisteva esattamente l'Operazione Valchiria: non bastava uccidere Hitler, bisognava neutralizzare le SS (se non sapete esattamente come, il film lo spiega piuttosto bene, ma con l'enciclopedia si fa prima). Sul perché si chiama così, gli sceneggiatori forniscono una tipica scenetta da biopic: il colonnello complottista si riposa nella sua bella casa, con la sua bella moglie (Carice van Houten, l'attrice di “Black Book” diretto da Paul Verhoeven, in speranzosa attesa di un film senza nazisti), e intanto ascolta Wagner, mentre le belle figlie giocano alle Valchirie. Illuminazione. Piano pronto per la firma di Hitler, che commenta: “Chi non capisce Wagner non capisce la Germania”. Passaggio all'atto, rispettoso della legge di Murphy: tutto quello che può andar male, andrà male (lo dice una battuta del dialogo e non sarebbe necessario, lo spettatore conosce il finale). Come l'attentato a Hitler, il film di Bryan Singer riesce per metà. Si ammira lo straordinario cast, da Kenneth Branagh (altro tentativo di attentato) a Tom Wilkinson, da Bill Nighy a Terence Stamp, impettiti nelle divise, con poco da dire oltre agli ordini e ai contrordini, bravi abbastanza per non essere nazisti da fumetto. Da fumetto è Tom Cruise, con l'occhio di vetro chiuso nella scatolina, praticamente mai usato. Con il moncherino – in Africa ha perso anche la mano destra – fa invece il saluto nazista, quando proprio lo costringono.