IL CURIOSO CASO DI BENJAMIN BUTTON

Mariarosa Mancuso

    E' uno dei concept movie che inesorabilmente piacciono ai giurati dell'Oscar. Grande tema, per cominciare: il fatto che, come diceva Mark Twain, “nella vita la parte migliore si trova all'inizio”. A Francis Scott Fitzgerald venne in mente un neonato rugoso, semicieco e gobbo che via via ringiovanisce, una storia molto simile è raccontata in “Le confessioni di Max Tivoli” di Andrew Sean Greer. Chi avesse voglia di collezionare prove indiziarie su come peggiorano le cose nel mondo, sappia che Mark Twain fece una battuta, Fitzgerald ne ricavò un raccontino scritto con la mano sinistra, Andrew Sean Greer lo ha promosso a romanzo lodato da John Updike e degno di una copertina Adelphi, David Fincher e lo sceneggiatore Eric Roth hanno reso Benjamin Button un parente di Forrest Gump. I giurati degli Oscar, che mai sono riusciti a farsi piacere un attore in un ruolo comico, vanno pazzi per gli attori truccati da vecchi, con i nasi finti e le rughe: per questo hanno candidato Brad Pitt come migliore attore (assieme a Sean Penn di “Milk” e a Kate Winslet di “The Reader”: nei casi dubbi, recita meglio colui che si fa più imbruttire dal trucco). Aggiungete l'immancabile repertorio di simbolini & simboletti:  un orologio che sta sempre fermo, una data di nascita fatidica, un eroe che si trova sempre dove accadono le cose, una fabbrica di bottoni scalzata dalle zip. E una cornice che fa diventare interminabile un film già lungo e lento di suo: il letto di morte, il diario letto a poco a poco, la figlia che non va mai al cinema, se no saprebbe immediatamente che quella è la storia di sua madre. La fotografia gronda melassa (nel senso del colore e del sentimento), Cate Blanchett risulta particolarmente legnosa quando balla sulle punte e inespressiva quando recita. Vede per la prima volta il vecchietto quando è ancora bambina, poi si incontrano di nuovo, quando finalmente hanno età combacianti finiscono a letto insieme (dopo un corteggiamento al chiar di luna particolarmente kitsch). Intanto la vecchia moribonda ha i suoi mancamenti, l'infermiera accorre al bip, ma noi sappiamo che al cinema nessuno muore mai prima di aver terminato il suo compito. Cosa sia accaduto al regista di “Seven” e dello spettacolare “Zodiac”, non è chiaro: tra le ipotesi più accreditate, un subitaneo attacco di mediocrità, e una grave ingratitudine verso i serial killer che gli riuscivano tanto bene.