NEMICO PUBBLICO NUMERO 1 – L'ISTINTO DI MORTE

Mariarosa Mancuso

    Clint Eastwood ha lamentato l'effetto letale della correttezza politica sulle barzellette. In “Nemico Pubblico Numero 1”, il boss Guido (Gérard Depardieu) ne racconta un paio, approfittando del fatto che aiutano, più dei costumi e delle parrucche e delle auto, a caratterizzare la Francia del Dopoguerra. Servono per intimidire un arabo con il vestito della festa, sfruttatore di prostitute e picchiatore delle medesime, caricato sul sedile posteriore dell'auto (verso un regolamento di conti, ma lui non lo sa). “Sai cosa si dice a un arabo che veste come te?” stuzzica il boss con i più brutti occhiali visti al cinema (e un cerone pesante che sullo schermo non sparisce). L'arabo balbetta qualcosa, Guido-Depardieu interviene: “Si dice: Imputato, alzatevi!”. Subito dopo i titoli di testa – una lunga sequenza a split screen: un uomo e una donna si accertano di non essere seguiti, prima di caricare le valigie in macchina per il fine settimana, o forse una fuga più definitiva – abbiamo visto però il giovane Mesrine in Algeria, mentre improvvisa una strage a difesa di una donna velata. Uno a uno, quindi, fine del dibattito. Tornato in patria, e prima di diventare il nemico pubblico numero 1, da uccidere per strada senza neppure intimargli l'alt, fu decorato da Charles De Gaulle con la croce al valor militare. Trattasi di film poliziottesco, che in due puntate (la prossima, con il titolo “L'ora della morte”, arriverà nelle sale il 17 aprile), racconta la vita del più celebre gangster francese: violento, al limite dell'incredibile anche se tutto è documentato, molti primi piani stretti che fanno risparmiare sulle scenografie e rendono bene al passaggio in tv). Nove candidature ai César, gli Oscar francesi, e grande prova – annunciata, fotografata, commentata per molti mesi – di Vincent Cassel: è ingrassato di venti chili, poi dimagrito, e sembra aver girato senza controfigura le scene in cella di isolamento, torturato con l'idrante. Parlando di recitazione, lo si apprezzava di più di più in “La promessa dell'assassino” di David Cronemberg, e senza mettere su nemmono un etto. Jean-Francois Richet fila abbastanza rapido, più per l'ansia di fare star tutto nei due film che per senso del ritmo. Sotto l'incanto dei suoi Bonnie & Clyde francesi, qui racconta le prime rapine, una spettacolare evasione, i rapporti con il Fronte di Liberazione del Québec, il tentativo di rapire un miliardario handicappato.