IL MONDO DI HORTEN

Mariarosa Mancuso

    Il protagonista pensionato di “Settimo cielo” ascolta appassionatamente un disco con i rumori delle locomotive (dirige il quarantenne Andreas Dresen, molto affettuoso verso le pantere grigie). Non c'è da stupirsi se la moglie, pantalonaia a domicilio, preferisce passare i pomeriggi tra le lenzuola con un vivace settantenne. Al ferroviere norvegese Odd Horten tocca invece un locomotiva quiz: come è fatta una certa motrice, quanti vagoni ha quel certo treno, quanti ponti ha quella linea. E' la sua cena di pensionamento, quindi non può fare il difficile (come regalo, locomotiva in miniatura, e non abbiamo visto bene i pasticcini, forse a forma di biglietto bucato, e le torte, forse a forma di abbonamento mensile). Prima, ha compiuto l'ultimo viaggio: neve e gallerie, neve e gallerie, neve e gallerie, tanto magnificamente fotografati che chiunque pensa di aver sbagliato tutto nella vita, a non voler fare il macchinista (anche il cappotto in pelle della divisa non è niente male). L'uomo cerca di prenderla bene, con la sua faccia alla Jacques Tati. Per questo si ritrova invischiato in una divertentissima deadpan comedy, restando impassibile di fronte alle assurdità che – se dobbiamo credere a Bent Hamer – in Norvegia prosperano. In realtà, è il gusto del regista a scovarle ovunque: il suo primo film, “Kitchen Stories” raccontava gli ispettori svedesi nelle cucine norvegesi, pagati dai fabbricanti di mobili per scoprire quanti kilometri fa una casalinga, tra lavandino e frigorifero (il secondo, “Factotum” con Matt Dillon, era su Bukowski e girato in inglese). L'ex ferroviere uscirà da una piscina con un paio di stivali rossi a tacco alto, entrerà di notte nelle camere da letto dei ragazzini, vedrà compassati signori lanciarsi sulle discese gelate usando come slittino la valigetta 24 ore, osserverà da vicino un aereo (per coerenza, ha sempre viaggiato su rotaia). Premio Speciale della Giuria alla cagna Molly, durante lo scorso festival di Cannes. Si è aggiudicata il collare con scritto Palm Dog, destinato al miglior cane recitante nei film presentati sulla Croisette. Nel 2003, il premio era stato vinto dalla sagoma del cane disegnata con il gesso, in “Dogville” di Lars von Trier.