X MEN - LE ORIGINI: WOLVERINE

Mariarosa Mancuso

    Anche i supereroi hanno avuto un'infanzia difficile. Questa comincia nel 1845, in una notte buia e tempestosa, con un bambino febbricitante a cui spuntano gli artigli. Subito ne fa cattivo uso, sotto gli occhi del fratello: come in un feuilleton degno di questo nome scatta la prima agnizione (“quello era mio padre?”, non serve neanche la mezza medaglietta che gli orfanelli tenevano cara, in caso avessero trovato fortunosamente l'altra metà, e insieme il lascito per rimpannucciarsi onde tornare a una vita dignitosa). Altre agnizioni seguiranno, non solo tra i mutanti che nei primi titoli della serie X-Men abbiamo visto combattere a fianco di Wolverine. Fa la sua parte anche lo spettatore fanatico che conosce i fumetti Marvel, compone la sua tavola delle presenze e delle assenze, in base a questa giudica il film. I fratelli coltelli, entrambi superdotati e ferini, combatteranno la Guerra di secessione, la Prima e la Seconda guerra mondiale, e finiranno in Vietnam come corpo speciale di mutanti militarizzati. Fine dei titoli di testa. Già è caduto l'interesse, nonostante la presenza di Hugh Jackman che riprende il ruolo che lo lanciò, e memore di “Australia” si butta nudo da una cascata e si rifugia nudo in un fienile? Non vi possiamo dare torto. Per un “Iron Man” che trova la giusta misura di supereroismo e ironia, per un “Watchmen” che intreccia sapientemente supernevrosi e atmosfere anni Settanta, per tre ottimi “Spider-man”, vari “Hulk” falliscono nel tentativo. Si sacrificano, come schiere di soldati semplici, per aprire la strada agli specialisti. Forse non era necessario sapere tutto della giovinezza di Wolverine (tanto più che poi dovrà perdere la memoria, per esigenze di personaggio). Non era necessario sapere come gli artigli e lo scheletro sono diventati di resistentissimo adamantio (nell'universo Marvel, battuto solo dai materiali con cui è fatto il martello di Thor e il rivestimento di Silver Surfer). Non era necessario conoscere i dettagli della sua vita coniugale nei boschi canadesi, interrotta dal fratello guastafeste che non vuole mettere la testa a posto (e però ha trovato un barbiere che non lo costringe ai basettoni). Dirige il regista sudafricano Gavin Hood di “Tsotsi”, con eccesso di serietà: cose che capitano quando uno arriva dalla periferia dell'impero, e magari non è cresciuto leggendo i fumetti giusti.