CROSSING OVER

Mariarosa Mancuso

    “Gente che va, gente che viene, e tutti senza uno scopo” diceva il portiere di “Grand Hotel”, commentando il via vai della Garbo che faceva preparare la macchina per andare a Tremezzo (la credevamo una località assai esotica, prima di scoprire che si trova sul lago di Como) e la segretaria Joan Crawford che aspirava a fare molti straordinari, magari sul sofà di qualcuno importante. “Gente che va e gente che viene, dal Messico ma anche da luoghi meno prevedibili, in cerca di una Green Card”: questo potrebbe essere lo slogan di lancio per Crossing Over”. Film che somiglia parecchio, nella struttura e nel messaggio, a “Crash” del premio Oscar Paul Haggis. Con meno pretese, meno partiti presi, un inno alla libertà e all'accoglienza americane nell'ultima sequenza - il giuramento di chi ce l'ha fatta -, la constatazione che non soltanto i miserabili vogliono sbarcare nella terra promessa. Il permesso di soggiorno senza scadenza fa gola anche al musicista inglese David Kossef (Jim Sturgess, già visto in “Across The Universe” di Julie Taylor) e alla sua fidanzata australiana Claire Shepard (Alice Eve, figlia di Trevor Eve, cacciatore di vampiri quando Dracula era Frank Langella, che ora ha fatto Nixon in “Frost/Nixon”). Un po' diverso, ma non abbastanza per risultare risulta meno artificioso e prevedibile. Harrison Ford lavora all'Immigration and Customs Enforcements, con il compito di scovare i clandestini che lavorano in nero. Durante una perquisizione, incontra gli occhi neri di Alice Braga (nipote d'arte, la zia si chiama Sonia Braga) e non li scorda più. Al punto da rompere le sospensioni dell'auto per riportare ai nonni messicani il bimbo rimasto senza mamma. (Una voce nella nostra testa ripeteva “che brutta fine per Indiana Jones”). Ashley Judd cerca di rassicurare le ragazzine nere abbandonate, mentre il marito Ray Liotta opera sull'altro fronte: concede le Green Card soprattutto alle ragazze carine. Scrive e dirige il regista dell'adrenalinico “Running Scared”, che manteneva esattamente le promesse del titolo: azione a non finire, e una tremenda tortura con un dischetto e un bastone da hockey. Qui va molto più lento: l'argomento è serio e bisogna volantinare il messaggio.