VALENTINO - THE LAST EMPEROR

Mariarosa Mancuso

    Sono di Voghera come Carolina Invernizio e il sarto Valentino” dice Alberto Arbasino. Non sappiamo se anche le zie di Valentino Garavani fossero “bene attente a buttare là il maggior numero di cattiverie indirette, da rimasticare durante la notte, e rilanciare come prima cosa al momento del caffè e latte”. Sappiamo dall'imperdibile documentario parecchie cose sulla casa di Roma, il castello francese con maggiordomo, le sarte che drappeggiano con gli spilli in bocca. Spazzolino, dentifricio, mossa decisa e spiazzante: l'igiene dentale dei carlini è già di culto (prima abbiamo visto gli stessi carlini spaparanzati sull'aereo privato, finché viene annunciato che bisogna far posto a passeggeri umani, orrore e raccapriccio). Ogni tanto Valentino sembra infastidito dalla cinepresa, poi capiamo il problema. Il regista a  volte dimentica il sarto per curiosare sui tavoli con gli schizzi o inquadra altre persone (per esempio Rosario di Bulgaria, e prima che uno abbia il tempo di domandarsi “chi è?”, nel sottotitolo leggiamo “muse”). “Deve essere puntata sempre su di me, la gente deve stare in ginocchio davanti a me” ribadisce Valentino a Giancarlo Giammetti, ringraziato con le lacrime per i molti anni di sodalizio lavorativo e amoroso durante il conferimento della Legion d'onore. Altro dibattito, sulle finte dune per una sfilata, volute da Giammetti e poco apprezzate da Valentino: “Mi sembra di vedere Marylin Monroe con il secchiello in mano e Jack Lemmon che le corre dietro”. Dante Ferretti immagina un Colosseo rosso Valentino, si sentono frasi come “non è che così mi diventa troppo tempio?”, si organizza un buffet – testuale – con “finger food, wurstel, hamburger”. E noi ancora convinti che i ricchi mangiassero caviale e champagne. E che dal guardaroba di un uomo elegante fossero bandite le sciarpette.