A CHRISTMAS CAROL

Mariarosa Mancuso

    Forse James Cameron con il suo “Avatar” e i suoi spilungoni blu dal muso felino riuscirà a farci cambiare idea. Finora però la tecnica detta “motion capture” non riesce a entusiasmare noi quanto appassiona Robert Zemeckis. Non era trascinante “Polar Express”, con Tom Hanks bigliettaio sul treno che viaggia verso il paese di Babbo Natale. Non è trascinante “A Christmas Carol”, se non per cente sequenze di puro horror, come i cavalli neri con gli occhi fiammeggianti che inseguono un minuscolo Ebenezer Scrooge in camicia da notte e papalina in testa. Quando in un film la città risulta più interessante dei personaggi e gli effetti speciali trascinano più della storia, vuol dire che qualcosa non funziona. Vero è che siamo nella Londra vittoriana, paradiso in terra per i romanzieri e i lettori di romanzi: e nel film non esiste camino o ciminiera, vicolo o piazza, tugurio o residenza signorile, fabbrica o bottega, lampione o vetrata, fiocco di neve oppur cancello che lo scenografo abbia dimenticato di rifinire in ogni dettaglio. Ma anche il racconto natalizio di Charles Dickens non era male, con il suo ricco avaro – preso a modello anche da Walt Disney per zio Paperone – che come ogni anno trascura il Natale lamentando la perdita di tempo e di soldi. Tre fantasmi gli faranno cambiare idea, grazie a tre viaggi nel tempo – qui anche nello spazio: Ebenezer Scrooge dal naso adunco non sta fermo un attimo, il regista decide di sfruttare al massimo le possibilità del cinema in 3D. A dispetto degli sforzi produttivi (la “motion capture” prevede un attore insaccato in una tuta, con i sensori sul viso e sul corpo per trasmettere movimenti al computer) le figure digitali faticano a diventare personaggi. Per paradosso, la tecnica mista con intervento umano produce personaggi meno riusciti di quelli totalmente sintetici: basta mettere a confronto il vecchio Scrooge con il pensionato di “Up”. La tecnica consente a Jim Carrey di far tutte le parti in commedia: lo Spirito del Natale passato (un'insulsa fiammella), lo Spirito del Natale presente (una specie di Bacco addobbato da albero), lo Spirito del Natale futuro, che per spingere al pentimento abbonda in effettacci da brivido. A Dickenslandia – il racconto è del 1843 -  non credere nel Natale era peggio che non credere in Dio: l'incauto meritava punizioni e torture.