LA PRIMA COSA BELLA

Mariarosa Mancuso

    Nessuno inventa niente, figuriamoci. Perfino “Avatar” di James Cameron ha collezionato le sue belle accuse di plagio, la più quotata da parte di Arkady e Boris Strugatsky: negli anni Sessanta ambientarono una serie di romanzi sul pianeta Pandora, abitato dai Nave (i fratelli scrittori sono noti ai cinefili da quando Andrej Tarkovskij prese una loro storia intitolata “Picnic sul ciglio della strada”, nella traduzione italiana di Marcos y Marcos, e ne ricavò “Stalker”). Ma il Valerio Mastandrea di “La prima cosa bella” somiglia dannatamente al Valerio Mastandrea che avevamo visto in “Non pensarci”, fatta salva la differenza tra un regista autoironico come il bolognese Zanasi e uno che si prende sul serio come il livornese Virzì. Il Mastandrea di questo film invoca un farmaco legale che “cacci via un po' di scontento” (e quasi si attacca alla flebo di morfina della mamma malata terminale di cancro), il Mastandrea dell'altro film chiedeva alla genitrice new age che gli aveva appena rivelato il nome del vero padre “non potremmo continuare a vivere felici dicendoci bugie come tutti?”. Nessuno ha il copyright sull'anaffettivo depresso, come nessuno ha il copyright sul ritorno al paese natio per gravi motivi familiari (si farebbero tanti bei soldi). La famiglia offre però spunti più interessanti del precariato o delle caterine che vanno in città, garantendo la stessa copertura giornalistica tra cinema e costume. Non c'è il copyright neppure sui titoli di film ricavati dalle canzonette, a conferma che la vera letteratura popolare, in un paese dove tutti si proclamano artisti o maestri, la firma Nicola di Bari e la pubblica il festival di Sanremo. Capita così che l'ultimo film di Paolo Virzì sia meglio riuscito del solito. Soprattutto nella seconda parte, quando cominciano a succedere le cose. La prima soffre di eccessiva lentezza nella presentazione dei personaggi, appensantita da tutti gli omaggi possibili al cinema italiano che fu (e probabilmente non sarà più: come se gli americani si ostinassero a rifare i film degli anni settanta, molto urlati da attori brutti ma bravi, con l'obbligatorio reduce dal Vietnam). E allora via con la macchina del “Sorpasso”, il set di “La moglie del prete”, i concorsi di bellezza, le rotonde sul mare, i poveri ma belli, le mamme che sognano il cinema, i ragazzini gelosi, i maschi cialtroni e bugiardi, Stefania Sandrelli.