AFTERSCHOOL
Gus van Sant e il suo dramma scolastico “Elephant”, Palma d'oro e premio per la migliore regia a Cannes 2003, hanno fatto proseliti. Nello stile, innanzitutto: i corridoi e i dormitori dei licei sono la nuova frontiera dell'orrore quotidiano, senza bisogno di effetti speciali. Basta puntare la videocamera sulla nuca di uno studente che li percorre ciondolando e siamo sicuri che qualcosa di orribile sta per succedere. In “Afterschool” – primo lungometraggio scritto e diretto da un regista mezzo italiano e mezzo brasiliano nato nel 1983 a New York, la madre curava gi interessi di Pelé – è la morte per droga di due splendide gemelle, le più corteggiate del college. Siamo nel New England, l'agonia viene ripresa dalla videocamera di uno studente che come materia facoltativa ha scelto il cinema. Forse pensando che la sua ossessione per YouTube, sezione sesso e violenza, possa funzionare come apprendistato, o almeno indicare una vocazione. Il regista moltiplica le videocamere, cosicché la scena viene ripresa in campo lunghissimo, e non risulta chiaro neanche alla fine chi manovri l'apparecchio che inquadra le ragazze che giacciono per terra, lo studente che tarda a chiamare i soccorsi, gli insegnanti che finalmente arrivano. Potrebbe essere la sorveglianza dell'edificio, il Grande Fratello, l'occhio di Dio: inutile cercare spiegazioni, non saranno date (qui, come insegnante di sostegno, accanto a Gus van Sant si palesa il Michael Haneke di “Niente da nascondere”). L'imbranato Robert, ancora sotto choc, viene incaricato di girare un video commemorativo, con interviste ai genitori delle ragazze e agli studenti in lutto. La prima versione del filmato è agghiacciante, montata con tutte le sequenze che chiunque avrebbe tagliato: genitori impietriti, risatine imbarazzate, commenti fuori luogo, neanche una nota musicale. E' la scena più promettente del film, se messa a confronto con il filmino rimontato da uno degli insegnanti: parole di circostanza, musica in stile “il paradiso è aperto, entriamoci”, ricordi sottoposti a editing feroce. Purtroppo il regista, voglioso soprattutto di levare il sonno ai genitori con figli fanatici di YouTube, la dimentica subito. Appena riconoscibile l'attore Michael Stuhlbargh, uno dei professori: dimostra quando siano stati bravi i fratelli Coen in “A Serious Man” a ricavarne un'indimenticabile faccia da fumetto.
Il Foglio sportivo - in corpore sano