Oltre le regole - The messenger

Mariarosa Mancuso

    In “Salvate il soldato Ryan”, Steven Spielberg aveva immaginato la scena prendendo a modello le illustrazioni di Norman Rockwell. Due uomini in divisa suonano alla porta, per chi ha un figlio o un parente al fronte basta uno sguardo da dietro la tendina per capire che saranno cattive notizie. La mamma sviene, di quattro figli uno solo rimane in vita, dopo aver partecipato allo sbarco in Normandia: lo stato maggiore si mobilita per salvare l'ultimo Ryan, in un bel gesto di risarcimento. Durante la Seconda guerra mondiale - fa notare il regista Oren Moverman, reduce dell'esercito israeliano – le notifiche viaggiavano per telegramma. Ora è una gara contro il tempo reale imposto dalla Cnn e dai blogger, per evitare che i congiunti sappiano da fonti non ufficiali. “The Messenger” accompagna due militari che girano gli Stati Uniti sbrigando il più triste degli incarichi (perfino peggio che stare in battaglia, dove se sei fortunato puoi metterti al riparo), regolato da un manuale che spiega le cose da fare e da non fare. Bisogna fornire fatti e informazioni, non offrire conforto. Fuorilegge la stretta di mano, l'abbraccio, qualunque altra forma di contatto fisico, anche quando il dolore diventa rabbia. Lo ribadisce Woody Harrelson – quasi all'età della pensione, disciplinato ma solo sul lavoro – al giovane compagno di squadra Ben Foster, più propenso a lasciarsi coinvolgere. Entrambi sono stati al fronte, comportandosi da eroi. Poteva uscirne un film strappalacrime, o uno di quei pamphlet contro tutte le guerre che deliziano gli spettatori pacifisti. La bravura del regista e dello sceneggiatore Alessandro Camon (figlio dello scrittore Ferdinando) sta nel fatto che ne hanno ricavato un film realistico, pieno di commozione quando serve e con tocchi di cinismo quando bisogna allentare la tensione. I due guardano una casetta con il giardino (parcheggiano sempre un po' lontano, per non dar troppo nell'occhio), osservano scene familiari che bruscamente saranno interrotte (e anche se è un litigio, o i panni da stendere, retroattivamente sembreranno un momento felice e spensierato), e il militare con più esperienza si lascia scappare: “Potrebbe essere peggio. Potrebbe essere Natale”. Quando il cinema è fatto con realismo e partecipazione per le sofferenze – senza utopisticamente proporsi di cancellarle dal mondo – non si può che restare ammirati.