CELLA 211

Mariarosa Mancuso

    Raccomandare caldamente un altro film carcerario dopo “Il profeta” di Jacques Audiard sembrerebbe una causa persa. Eppure questo film spagnolo, vincitore di otto premi Goya, merita più spettatori di quelli che probabilmente riuscirà a conquistare: il pubblico di nicchia, che per partito preso si tiene a debita distanza da Hollywood, non coltiva una gran passione per i thriller. E in queste settimane, come a un segnale convenuto dopo il lungo digiuno pasquale, sono schierati al nastro di partenza parecchi titoli interessanti. “Cella 211” non appartiene al genere delle storie carcerarie a base di ravvedimento ed espiazione, alla maniera di “L'uomo di Alcatraz” (con Burt Lancaster chino sui manuali di ornitologia) o “Le ali della libertà” (con Tim Robbins che studia da fiscalista) o del recente “Colpo di fulmine - Il mago della truffa (con Jim Carrey che si laurea sul campo in giurisprudenza e si finge il proprio avvocato difensore). Non somiglia neanche al riscatto di Edward Bunker, diventato scrittore dopo l'incontro con il vicino di cella Caryl Chessman, che gli aveva mostrato una rivista con un estratto del romanzo “Cella 2455 – Braccio della morte”: il tentativo di imitazione produsse romanzi, autobiografie, copioni per il cinema, un ruolo d'attore come Mr Blue in “Le iene” di Quentin Tarantino. La ben congegnata storia di “Cella 211” era in un romanzo di Francisco Pérez Gandul (esce da Marsilio, nel 2005 vinse il premio come miglior noir a Gijon). La sceneggiatura, firmata dal regista in collaborazione con Jorge Guerricaechevarría, ne ricava tutto il possibile, in termini di scontri fisici e di reazioni mentali. Il ritmi non sono dati dal cronometro (“una scazzottata ogni dieci minuti basterà a tenere sveglio lo spettatore?”), ma da una trama sensata. Sposato e con moglie incinta, il secondino Juan Olivier (l'attore argentino Andrea Ammann, esordiente di talento) prende le misure al carcere nel suo primo giorno di lavoro. Colpito alla testa da un calcinaccio, viene momentaneamente abbandonato dai colleghi nella cella 211. Proprio quando l'energumeno Malamadre e la sua banda di brutti sporchi e cattivi danno il via a una rivolta. Confessarsi guardia carceraria condurebbe a sicura morte. Meglio tentare la sorte, fingendosi un prigioniero appena arrivato in cella. Serve una divisa, e parecchia faccia tosta, giacché nessuno è disposto a crederti sulla parola.