COSA VOGLIO DI PIU'

Mariarosa Mancuso

    La vita com'è davvero”, “piccoli spostamenti del cuore”, “entomologo dei sentimenti”, “sismografo dei minimi sussulti”, “quasi-documentario di una passione”: suonano così gli elogi per l'ultimo film di Silvio Soldini, undici anni dopo il successo a sorpresa di “Pane e tulipani” (a sorpresa perché stava nella categoria del “gradevole”, più che del trascinante, e noi non siamo fan sfegatati del gigione Bruno Ganz). Sono altrettante formule gentili, in qualche caso non disgiunte da ammirazione, per dire che in “Cosa voglio di più” non succede quasi niente. Quando succede, i tempi e i modi son quelli dell'esperienza vissuta e degli amici che ti raccontano le loro pene d'amore: con dovizia di particolari, e senza nessuno che si occupi seriamente dell'interesse che possono suscitare nell'interlocutore. Una scelta precisa da parte del regista, che dopo il passaggio alla Berlinale ha sacrificato solo cinque minuti, pochi per fare la differenza tra una storia che si dilunga per due ore e un'altra che punta all'essenziale. Soldini accumula dettagli, con la meraviglia di chi i casermoni con balconcino alla periferia di Milano e i treni con i pendolari stanchi li ha visti la prima volta durante i sopralluoghi per il film (basta un confronto con “Fish Tank” di Andrea Arnold, o con altri film britannici di periferia, per constatare che la restituzione dell'ambiente proletario non deve necessariamente configurarsi come un documentario). La coppia formata da Alba Rohrwacher e Giuseppe Battiston convive ed è sul punto di progettare un figlio, lei fa la segretaria e lui per arrotondare aggiusta vecchi oggetti, finché il bel cameriere Pierfrancesco Favino  si mette di traverso. Succede quel che succedeva, in tutt'altro contesto, in “Io sono l'amore”: una passione carnale raccontata come se dai tempi di Lady Chatterley e del suo guardiacaccia, o anche solo da “La signora della porta accanto” di François Truffaut, nel mondo non fosse cambiato nulla. L'amore chiama e scombina i piani, la società e il precariato lavorativo giocano contro. Altri dettagli si accumulano: telefonate mute, sospetti, bugie, sensi di colpa, la stanza al motel perché non c'è altro luogo per incontrarsi, il conoscente che ti sorprende mentre litighi per strada. Le scene di sesso risultano più doverose che appassionate, e l'impegno nella coreografia non basta per renderle credibili.