FRATELLANZA – BROTHERHOOD

Mariarosa Mancuso

    Il Marc'Aurelio d'oro vinto al Festival di Roma non gli ha portato troppa fortuna, considerato che il film esce in una stagione – diciamolo con garbo – poco favorevole agli incassi. Altro che marketing virale, questo tipo di marketing si chiama “o la va o la spacca”: se il film raggranella qualche soldo tutti son contenti, se soldi non ne guadagna si possono sempre scrivere articoli lamentosi sul pubblico che non apprezza il cinema europeo (o sui festival che non riescono a far da trampolino per i film, o su una qualunque altra lagna a scelta tra quelle che vengono rispolverate alla bisogna, quando non sta bene dire che il film è di nicchia, con scivolate didattiche, ricco di buoni sentimenti su un tema morbosetto, ma anche un pochino noioso). Questa settimana compete con “Twilight” (le ragazzine non si faranno scoraggiare dalla calura), la prossima con“Toy Story 3 – La grande fuga” (noi saremo alla prima proiezione). Si possono immaginare concorrenti più temibili per un film danese su un gruppo neonazista, che di notte organizza spedizioni punitive contro ebrei, froci (meglio se non dichiarati, per evitare denunce alla polizia) e pakistani? No, infatti il manifesto originale – un bel giovanotto biondo in primo piano, l'aquila nazista sotto – lascia il posto a due giovanotti che si rotolano in un letto. Non è sbagliato, il film di Nicolo Donato (figlio di emigrati italiani) vaga tra uno studio sui gruppi neonazisti danesi e una storia d'amore gay, senza decidersi mai. L'ultimo arrivato, espulso dall'esercito per avances ai commilitoni, e il suo mentore (che ne dovrebbe saggiare il coinvolgimento ideologico) vanno insieme in una casetta di campagna a studiare “Mein Kampf”. Fanno la doccia insieme dopo aver sudato con le riparazioni, nuotano nudi al chiar di luna, si lanciano sguardi appassionati, e quel che immaginiamo debba succedere finalmente succede. Gli incauti lasciano però la finestra aperta, e quando l'amore clandestino arriva alle orecchie dei picchiatori finiscono nei guai. Materia per dibattito, o per un regista meno incline a educare gli spettatori. Su faccende non del tutto ignote. Alla Berlinale, anni fa avevamo visto “Manner Helden und Schwule Nazis”, di Rosa von Praunheim. Pezzo forte, un filmetto porno degli anni Trenta con un giovanotto che leggeva Mein Kampf con una mano sola e con l'altra armeggiava dentro le mutande, ornate di svastica.