LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI

Mariarosa Mancuso

    L'infanzia è un orrore, siamo d'accordo. Nelle recite scolastiche con le faccine pitturate e i costumi da girasole l'orrore tocca il culmine, anche su questo siamo d'accordo. Però se un regista e uno sceneggiatore (con la complicità dello scrittore che ha scritto il bestseller, premio Strega 2008, da anni in classifica e ormai gettonata lettura scolastica per le vacanze) decidono di rendere l'orrore con la musica dei Goblin, colonne sonore di Dario Argento, forse qualcuno di loro non ha fatto bene i compiti. E' infatti cosa nota e universalmente riconosciuta – la insegnano perfino tra i fondamentali nelle scuole di cinema – che qualunque immagine (per quanto banale) accompagnata da qualunque colonna sonora (assonante o dissonante, lenta o veloce, antica o moderna) produce un rapinoso effetto artistico. Mette i brividi, inumidisce gli occhi, induce romantici palpiti, intenerisce, innervosisce, dà ritmo. Soprattutto risparmia un sacco di lavoro, suggerendo allo spettatore l'atmosfera (una volta si chiamava sviolinata, la sentivamo arrivare molto prima che la donna in abito da sera e l'uomo in smoking si baciassero). Saverio Costanzo spiega di aver esagerato nel fracasso per preparare i silenziosi venti minuti finali, chiusi da una carezza di Alice sui capelli di Mattia (citazione da “L'avventura” di Michelangelo Antonioni, non proprio il nostro regista preferito). Bocche cucite sul resto, ha già pensato la Stampa a sparare ieri in prima pagina come il film va a finire. I fan di Paolo Giordano ritroveranno le foglie d'albero sul manifesto, identico alla copertina del libro senza gli occhioni di fanciulla. Ritroveranno gli incidenti che segnano la vita di Alice e Mattia. Non ritroveranno i ricami e le minuzie psicologizzanti che appesantiscono la seconda parte del libro, quando i personaggi crescono e Paolo Giordano perde la concretezza con cui sa descrivere i ragazzini. Luca Marinelli e Alba Rohrwacher sono perlopiù immobili, quasi catatonici, immusoniti, solitari come da titolo (vero asso nella manica: “Dentro e fuori dall'acqua”, il preferito dall'autore, non può reggere il confronto). Un po' troppo, per lo spettatore che il cinema lo vorrebbe meno noioso della vita. Lei dimagrisce (quindi Costanzo parla di “epica dei corpi”). Lui ingrassa, e quando proprio non ce la fa più schiaccia le bolle della plastica.