LO ZIO BOONMEE CHE SI RICORDA LE SUE VITE PRECEDENTI
Sprovvisti come siamo del demone della teoria (per rubare il titolo al saggio di Antoine Compagnon sulla critica letteraria) e sprovvisti pure del più domestico demone dell'interpretazione (misero adattamento nostro), possiamo soltanto riferire i fatti. Un contadino che abita una capanna sperduta nel nordest thailandese deve fare la dialisi. Ospedali non ce ne stanno, infermiere neppure, bisogna arrangiarsi e lui si arrangia (omissis, per spettatori ipocondriaci). Sente la morte avvicinarsi, chiacchiera con la cognata Jen cercando di farsene una ragione – “Forse ho ucciso troppi comunisti” è l'unico motivo che zio Boonmee riesca a scovare, ora invece ce l'ha con gli immigrati clandestini che arrivano dal Laos. Si mettono a tavola. Arriva lo spirito della moglie morta da quasi vent'anni, bisogna aggiungere un coperto. E' il classico fantasma in sovrimpressione, nessuno sembra scomporsi, la sbadigliosa conversazione continua. In mezzo alla giungla lampeggiano due occhi di bragia. Lo spettatore veterano, reduce sia da “Tropical Malady” sia da “Syndromes and a Century” (quindi desideroso di una medaglietta di latta in cambio di tanta abnegazione) teme che tutto il resto del film sarà girato non solo nella giungla, ma pure al buio. Non succede, ma è l'unica buona notizia. Gli occhi rossi appartengono a uno scimmione identico a Chewbacca in “Guerre stellari”, molto meno spiritoso (meglio: sarebbe identico se il trucco fosse all'altezza, appena esce alla luce spunta un dozzinale costume peloso). E' il figlio di Boonmee, così conciato dall'amore per una fanciulla selvaggia. Arriva una principessa vecchiarella, e un pesce gatto se la scopa con gran turbinio di acque. Entriamo in una grotta, e mentre pensiamo a quanti danni abbia fatto la psicoanalisi anche in Thailandia, la esploriamo in tutte le sue buie cavità. Poi – forse abbiamo fatto un pisolino in mezzo, non possiamo garantire l'occhio vispo se il regista non collabora – un monaco buddista che si spoglia per fare la doccia. L'abito arancione è complicato nel drappeggio, ma almeno impariamo qualcosa. Ripulito, il bel monaco si infila un paio di jeans ed esce a mangiare una pizza, mentre il suo doppio resta in camera a guardare la televisione. Sembra materia bastante per un quarto d'ora di film al massimo? No, le lunghe pause sono riempite dall'Arte. Il film ha vinto la Palma d'oro a Cannes, e vanta tra i suoi fan critici che dormivano durante la proiezione.
Il Foglio sportivo - in corpore sano