HARRY POTTER E I DONI DELLA MORTE

Mariarosa Mancuso

    Sessanta pagine fitte di note per la stampa (17 soltanto per i crediti, c'era un consulente meteo, i titoli di testa li cura una ditta, quelli di coda li fornisce un'altra ditta). Una riga sola per il talento che si è occupato dell'unica sequenza che vale la pena di essere vista. Sapevamo di non essere il target adatto per “Harry Potter e i doni della morte” – la prima parte adesso, la seconda il prossimo giugno, il maghetto dalle uova d'oro va sfruttato il più possibile. Finalmente abbiamo le prove. Ben Hibon, così si chiama il disegnatore-animatore, illustra una delle favole di Beda il Bardo, intitolata appunto “I doni della morte”. Lo fa con garze e silhouettes, mettendoci l'eleganza e la passione che mancano al resto del film diretto da David Yates. La materia del settimo volume firmato da J. K. Rowling (tutta la nostra incondizionata ammirazione per una ragazza madre diventata ricca scrivendo romanzi) è stata divisa in due per non lasciare da parte neppure una sottotrama e non irritare i fan, felici di ritrovare gli Horcrux (oggetti che contengono frammenti dell'anima malvagia di Voldemort), gli elfi domestici, il ministero della Magia che pare uscito da “Brasil”, la Commissaria per il censimento dei babbani, Dolores Umbridge, sempre vestita di rosa con una volpacchiotta di maglia tinta confetto al collo. L'attrice è Imelda Staunton (un passato di ruoli drammatici nei film di Mike Leigh) e pare divertirsi moltissimo, come se la spassa Bill Nighy, uno dei pochi attori britannici che finora l'aveva scampata: hanno acchiappato anche lui, assieme a Rhys Ifans. Si divertono meno gli eroi ragazzini, ormai ventenni e decisamente fuori parte. Recitano come se avessero in mente soltanto i giorni che ancora mancano alla ritrovata libertà: Emma Watson alla fine delle riprese si è tagliata i capelli a zero, e racconta a tutti quando papà – dopo averle dato per anni paghette miserevoli – le disse che era stramiliardaria. Sarebbe il settimo anno alla scuola Hogwarts, ma i nostri a scuola non vanno mai: il male va combattuto in campo aperto, nelle sue molte orribili forme. A differenza dei primi Harry Potter, che si potevano vedere senza studiare, il settimo richiede applicazione e conoscenza. Poiché le cose si fanno serie, non c'è tempo per giocare a Quidditch (compare solo la palletta alata) ma lo si trova per proclami come: “Mi apro alla chiusura”.