I DUE PRESIDENTI

Mariarosa Mancuso

    Lo sceneggiatore Peter Morgan (Morgenthau, se torniamo indietro di una generazione) viene da una famiglia che fa tornare in mente la prima scena del film “Katyn”, diretto da Andrzej Wajda: il padre ebreo era sfuggito alla furia nazista, la madre polacca era sfuggita alla furia sovietica, lui è nato a Londra nel 1963. Forse non avete notato il nome, i titoli dei suoi copioni sono più facili da ricordare: “L'ultimo re di Scozia” (con un magnifico James McAvoy nella parte dell'ingenuo e un magnifico Forest Whitaker con il kilt di Idi Amin Dada, che si era appunto proclamato tale): “The Queen” con Helen Mirren nella parte della regina Elisabetta, che in vestaglia e borsa dell'acqua calda si aggira a Buckingham Palace; “Frost / Nixon”, sul duello televisivo tra il presidente del Watergate e un conduttore tv in cerca di rilancio che nell'intervista aveva investito soldi suoi. Poiché uno sceneggiatore bravo è anche più raro di un regista bravo (provate a immaginare che orrendo pasticcio sarebbe stato “The Social Network” senza la scrittura di Aaron Sorkin) siamo rimasti un po' delusi dai suoi ultimi lavori. “I due presidenti”, appunto (terzo capitolo di una serie dedicata a Tony Blair, che presidente non era ma pazienza) e “Hereafter” diretto da Clint Eastwood. Con l'ex primo ministro britannico, Peter Morgan ha un conto aperto fin da “The Queen” e dal film precedente che si intitolava “The Deal”. Qui lo chiude, raccontando il primo incontro con Clinton (l'autista non sa neppur vagamente chi sia, però alla Casa Bianca lo fanno entrare dalla porta principale, tanto che in macchina lui e il portavoce cambiano posto per evitare figuracce) e la prima visita ufficiale dopo l'elezione di George W. Bush. In mezzo, l'amicizia con Bill, il processo di pace in Irlanda del nord, il Kosovo e soprattutto lo scandalo Monica Lewinsky, che offre a Peter Morgan l'occasione per scagliare qualche altra frecciata, e a Hope Davis dà lo spunto per mostrare la sua bravura nel rifare Hillary Clinton. Il regista Richard Loncraine sbaglia clamorosamente la scelta di Dennis Quaid, completamente privo di fascino, mentre Michael Sheen-Tony Blair e la consorte sprizzano simpatia. Le scenette familiari – di nuovo bagni e vestaglie – sono più interessanti della politica, se non vi interessa un ripasso di quegli anni e l'utile consiglio: “E' più facile cambiare un programma politico che la testa della gente”.