FEBBRE DA FIENO

Mariarosa Mancuso

    Secondo film prodotto dalla Disney Italia, il che di per sé è un piccolo record (anche se non possiamo scordare che il primo, diretto da Gian Paolo Cugno e intitolato “Salvatore – Questa è la vita”, era un disastroso ammasso di scugnizzi, pescatori dalle mani callose, tomba della mamma, lavoro minorile e disattesi obblighi scolastici). Questa volta si tratta di una commedia romantica, scritta e diretta da Laura Luchetti: aveva mandato alla Disney altri copioni (rifiutati o rimandati perché fossero riscritti), un giorno ricevette la fatidica telefonata: ha qualcosa per noi? Il qualcosa, scritto per l'occasione, era “Febbre da fieno”. Un film costruito con conoscenza dei fondamentali: i personaggi devono avere caratteri diversi l'uno dall'altro, i loro incontri non devono essere troppo pretestuosi, quel che si vede in scena deve essere più interessante di banali fotografie vacanziere, i costumi non devono provenire tutti dallo stesso mercatino, le delusioni e le disgrazie esistono, quindi non è il caso di zuccherare le situazioni oltre misura. Questi fondamentali sono ampiamente soddisfatti, gli attori sono ben scelti e non adolescenzialmente atteggiati (soprattutto Diane Fleri e Andrea Bosca), una scena al Maxxi di Zaha Hadid resta nella memoria, anche il negozio di modernariato e abiti vintage offre parecchie occasioni per ravvivare i desolati panorami della camera con cucina. Il negozio viene rifornito visitando le case dei vecchietti appena morti, quando i parenti non vogliono rovistare negli armadi, per pigrizia o disinteresse. Esattamente come accade in “Please Give” (fate la carità), film americano diretto da Nicole Holofcener: l'antiquaria Catherine Keener rivende tavoli, armadi, poltrone e lampade anni Settanta a caro prezzo, e intanto spera che la sua anziana vicina di pianerottolo muoia per allargarsi (anni prima ha comprato la nuda proprietà dell'appartamento lasciando l'usufrutto all'inquilina). Altri fondamentali sono purtroppo trascurati: la musica è troppo invadente, le inquadrature di Roma a volo d'uccello sono belle quanto inutili, il principio “basta un soffio di vento a cambiarci la vita” si capiva anche senza doverlo ripetere. Per la voce fuori campo, confessiamo un'idiosincrasia: sono pochi i casi in cui serve davvero. Irritano anche i post-it giallini che servono alle ragazze per “fissare le emozioni”.