MICHEL PETRUCCIANI – BODY & SOUL
A tre anni disse a suo padre che sapeva canticchiare i più amati dischi ascoltati in casa – la famiglia amava il jazz, non erano canzonette ma Miles Davis, Django Reinhardt, Art Tatum. Il genitore osò metterlo in dubbio, dopo una piccola dimostrazione pratica si rimangiò le parole. A quattro anni fece i capricci per avere un pianoforte tutto suo. Papà e mamma misero da parte i soldi per regalargli uno strumento giocattolo. Lo spaccò a martellate, ne ottenne uno vero. Lo iscrissero a una scuola per corrispondenza, e lui usava le cassette per registrarci le sue improvvisazioni. A tredici anni fece il suo primo concerto da professionista, nel sud della Francia, con il trombettista Clark Terry. “Suona come un vecchio negro amareggiato dalla vita in uno squallido locale del sud”, riferisce un testimone che a 35 anni di distanza sente ancora i brividi. Poi partì per la California, poi vennero New York, il Village Vanguard, la Blue Note Records, poi il milione e mezzo di lp venduti, le droghe, la vita sregolata, i duecento concerti all'anno, la polmonite che se lo portò via il 6 gennaio del 1999. Tappe da prodigio della musica, raggiunte con la massima fatica e la massima ostinazione perché Michel Petrucciani era malato di osteogenesi imperfetta: le sue ossa erano così fragili che si spezzarono durante il parto (la stessa malattia genetica attorno a cui M. N. Shyamalan ha costruito “Unbreakable”). Alto poco più di un metro, imparò a camminare con le grucce solo quando aveva 25 anni, prima erano gli amici a portarlo in braccio sul palco. Il suo fragile scheletro continuò a rompersi durante i concerti, insiste il suo medico nel documentario: una volta una clavicola, una volta un braccio, una volta addirittura uno degli ischi (sono le ossa su cui stiamo seduti). Michael Radford ha messo insieme interviste e materiali d'archivio, in maniera diligente senza lampi d'ingegno. La forza del documentario sta nel personaggio: prima ascoltiamo aneddoti che hanno dell'incredibile, poi arriva il filmato che ne garantisce l'autenticità (“Quel che dice Michel bisogna dividerlo per dieci”, spiegano i vicini di casa a Orange, dove era nato nel 1962, e cresciuto in una villetta vicina alla ferrovia: non è sempre vero). Parlano le quattro mogli, ancora innamorate a dispetto dei bruschi abbandoni. Parla il figlio, che ha ereditato la stessa malattia.
Il Foglio sportivo - in corpore sano