L'ALBERO

Mariarosa Mancuso

    La regista avrebbe voluto adattare “Il barone rampante” di Italo Calvino. Un problema di diritti l'ha dirottata sull'albero dell'australiana Judy Pascoe, scovato nel romanzo “Padre nostro che sei nell'albero”. Due alberi completamente diversi. Il primo dava rifugio a Cosimo Piovasco di Rondò, nobile ragazzino in rotta con la famiglia per una faccenda di lumache messe in tavola troppo spesso. Il secondo è un vegetale sussurante, incantato, leopardiano (“e come il vento / odo stormir tra queste piante”). Julie Bertuccelli non nota la differenza: incredibile come non esista, e ne abbiamo numerose prove, un orecchio per la trama, oltre che per la musica. Dalla natura avvolgente e misteriosa dipendono anche le scelte di casting. Charlotte Gainsbourg si era già distinta vagando nuda nel bosco di “Antichrist”, tra bestie parlanti e radici nodose, prima che Lars von Trier diventasse l'antisemita pop numero tre (prima di lui, in ordine di tempo, avevano sparato parole da brivido Mel Gibson e John Galliano; gli antisemiti di vecchio tipo sono gli Ahmadinejad e compagnia). La figlia di Serge Gainsbourg e di Jane Birkin ha quel che si dice una faccia triste, se non immusonita. Perfetta per la vedova con quattro figli, così depressa che neanche vuole alzarsi dal letto. Papà ha avuto un infarto mentre guidava il furgone, sbattendo contro l'albero. La figlia piccola Simone con l'albero parla piuttosto spesso, e sembra abbia trovato una sua strada per elaborare il lutto. Almeno fino a quando le ipertrofiche radici della pianta minacciano la stabilità della casa. In senso proprio, e in senso figurato: la regista trova che sia un'idea geniale, nessuno l'ha scoraggiata, il film ne soffre parecchio (anche perché il direttore della fotografia non somiglia a quello di Terrence Malick in “L'albero della vita”: altro albero spiritato che non serve ai cocciuti per separarsi dal mondo, ma ai devoti per cantare le glorie del Creatore). Se non siete più che animisti e più che ben disposti pare difficile cavare qualcosa da “L'albero” di Julie Bertuccelli, uno dei peggiori che abbiano mai chiuso il Festival di Cannes. E' l'estate italiana del cinematografo, bellezza. Tanti titoli corrispondenti ad altrettante “uscite tecniche” (utili per la vendita del film alla tv) o allo svuotamento dei magazzini. E nessuno di noi può farci niente.