
WARRIOR
Capitò di consigliare “The Wrestler”, il film di Darren Aronofsky che vinse il Leone d'oro a Venezia, con un magnifico Mickey Rourke che metteva a frutto tutte le volte che gli avevano spaccato la faccia, e tutto il botulino che si era fatto iniettare per vanità. Combattevano sul ring e si sparavano graffette nelle sopracciglia, è vero. Ma era anche una gran bella storia d'amore. Una lettrice protestò: orrore, un film dove se le danno di santa ragione, non sono mica consigli questi. “Warrior” è peggio. Al posto del wrestler (che quando si chiamava catch aveva attratto l'interesse di Roland Barthes, quindi da allora sappiamo che si tratta di combattimenti studiati e coreografati, nessuno si fa davvero male) troviamo le Arti marziali miste, Mma per i tifosi americani. Una combinazione tremenda e spettacolare di calci, pugni, ginocchiate, strangolamenti, qualcosa che al profano sembrerebbe lotta grecoromana, forse anche un po' di sumo (si buttano per terra, si avvinghiano, piegano e bloccano gli arti, tutti gli arti, come i poliziotti di quartiere fanno con il braccio dietro la schiena). Si vince per ko, o per “tap tap” sul ring, che vuol dire – nella lingua dei lottatori – “mollami che sennò muoio”. Molto peggio del wrestler, ma il film va visto lo stesso. Come abbiamo ammirato “The Fighter” di David O'Russell senza badare alla boxe. Come abbiamo visto “Toro scatenato” di Martin Scorsese o “Million Dollar Baby” di Clint Eastwood senza neppure farci la domanda. Il film parla di genitori e di figli, di rancori e di riconciliazione, di odio tra fratelli, di riscatto, e di cinque milioni di dollari che potrebbero cambiare la vita a chiunque. Li mette in palio il torneo Sparta di Atlantic City, il Super Bowl delle Arti marziali miste. Se li contendono due fratelli con una lunga storia di litigi alle spalle. Uno allenato da papà Nick Nolte, al suo millesimo giorno da sobrio (ma i due non si vedevano da molto più tempo). L'altro che ormai faceva l'insegnante, e torna ai combattimenti dopo che la banca sta per pignorargli la casa. Il trio di attori è semplicemente straordinario. Gli altri due sono Tom Hardy, che era in “Bronson” di Nicolas Winding Refn (la rabbia allo stato puro, fa paura). E Joel Edgerton, credibile quando si leva la giacca di tweed da insegnante e si mette i calzoncini. Regia grintosa, e alla fine facciamo il tifo dagli spalti.


Il Foglio sportivo - in corpore sano
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