
LA LEGGENDA DEL CACCIATORE DI VAMPIRI
Prima che i classici fossero rivisitati al gusto del giorno con una massiccia dose di sesso – idea già sfruttata in un libriccino finto accademico uscito da Canongate dieci anni fa, “Pride and Promiscuity. The Lost Sex Scenes of Jane Austen", tagliate senza pietà da un Gordon Lish dell'epoca – venivano riproposti con l'aggiunta di vampiri. Ne abbiamo uno anche in Italia, poco celebrato perché “I promessi sposi” resta un incubo scolastico e a nessuno viene in mente di far entrare nella lista dei bestseller un'astuta parodia. Lo scrittore si presenta come figlio – molto longevo – di Renzo e Lucia e arbasinianamente si fa chiamare Anonimo Lobardo. Titolo riveduto e corretto “I promessi morsi. Storia gotica milanese del XVII secolo” (Rizzoli 2011). Trattavasi di cronaca familiare seicentesca scritta per uso privato, poi dimenticata. Finché l'anonimo scopre, tornando in Italia dopo secoli di vagabondaggio tra Europa e America, che la sua storia è stata adottata come romanzo di una nazione. Riscritta (dopo che lo scopiazzatore ne ridicolizzato la prosa originale), e – orrore! – ripulita da ogni riferimento vampiresco. Per vendetta, l'Anonimo fa inciampare Manzoni sul fatale gradino della chiesa di San Fedele: una provvidenziale botta in testa, i conti sono pari. L'ampolloso manoscritto ritrovato non è affatto un trucchetto romanzesco. Esisteva veramente e raccontava dei succhiasangue in quel di Lecco. Da una decina di quadernetti ritrovati parte invece Seth Grahame-Smith in “La leggenda del cacciatore di vampiri” (lo pubblica la casa editrice Nord). Li firma Abramo Lincoln, sedicesimo e amatissimo presidente degli Stati Uniti, assassinato dopo aver abolito la schiavitù: così almeno ce la raccontano, al netto dei retroscena che appunto lo rivelano nemico acerrimo dei vampiri. Gli uccisero la madre Nancy da piccolo, lui giurò di vendicarsi, imparò a combattere i vampiri usando una scure d'argento. Nell'attacco di revisionismo zombie, la campagna elettorale e l'arrivo alla Casa Bianca sono incidenti di percorso in un'ossessione alla Van Helsing. Seth Grahame-Smith aveva già morso alla giugulare Jane Austen, in “Orgoglio, pregiudizio e zombie” (sempre edizioni Nord). Il delirio di Abe, scritto con passo da bravo artigiano, diretta dal russo Timur Bekmambetov guadagna in azione e perde ironia. Il critico di Rolling Stone invoca un paletto nel cuore del film.


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