IL PEGGIOR NATALE DELLA MIA VITA

Mariarosa Mancuso

    Siamo multitasking, continuamente distratti da mille cose, intermittenti nell'attenzione, con con il clic facile e il tweet ancora di più. I film invece rallentano i ritmi: sono più lenti di quando c'era solo il telecomando. Pure di quando il telecomando ancora non c'era, quindi bisognava alzarsi dal divano per cambiare canale, di due che ne avevamo a disposizione. Non stiamo parlando di certe pellicole d'arte e cultura dove il regista allunga i tempi per simulare intensità (se l'intensità ci fosse davvero, nessuno si accorgerebbe del lentissimo scorrere delle immagini). Stiamo parlando di un film comico come “Il peggior Natale della mia vita”, che segue a distanza di un anno il fortunato “La peggiore settimana della mia vita”, entrambi dichiaratamente adattati da una serie in onda su Bbc One. A partire dal 2004, il che spiega perché cinque milioni di spettatori britannici si sbellicavano, e noi ridiamo un po' meno. Molta acqua è passata sotto i ponti della tv, e anche rispetto alla “Peggiore settimana” – assai spassosa – questo disastroso Natale non fa ridere quasi per niente. Esempio: Fabio De Luigi deve pisciare sul tacchino, messo nella pentola a riposare con la sua marinata. Scena già presente nell'originale, dove però il pisciatore è nudo, confuso da un accusa di tentato stupro: nel prosieguo, gli inglesi si godevano una preziosa casa di bambola distrutta, un Babbo Natale ubriaco, un cane con un preservativo in bocca, l'anticipo di un testamento, uno scambio di carrozzine, un furto di cornamuse: tutta roba che qui sparisce (Alessandro Genovesi e il co-sceneggiatore Fabio De Luigi riempiono i vuoti con una compilation di canzoncine natalizie: ma perché?). La cocotte di porcellana è nello stanzino, inquadrata dall'alto sembra proprio un cesso. Abbiamo capito tutto prima ancora che succeda, e la pisciata tarda, annunciata e stra-annunciata da due porte uguali e dalla luce che va via. Per ridere bisogna portarsi le barzellette da casa: tutte le scene sono dilatate fino all'inverosimile, mentre dovrebbero essere veloci come in “Funeral Party”, o in Tre uomini e una pecora”. Anche la scena all'obitorio, con i becchini Ale e Franz, viene centellinata, come se non avessimo già afferrato. Si gustano davvero soltanto Diego Abatantuono, capofamiglia con castello in Val d'Aosta (tanti ringraziamenti alla locale Film Commission) e il maggiordomo Dino Abbrescia.