HOLY MOTORS

Mariarosa Mancuso

    Se volete girare un film senza capo né coda, siete pregati di prendere questo come esempio. Meglio però che vi mettiate il cuore in pace: la pura visionarietà ben fatta, senza kitsch e senza inquadrature poetiche (i due fili che si toccano, fanno cortocircuito e danneggiano il 99% degli esperimenti in materia) costa più fatica e pena di un onesto film con il suo bell'inizio, la sua bella fine, qualcosa in mezzo per tenere lontane le due parti. Serve l'occhio, per girare un film come “Holy Motors”, sicuro che serve. Ma non l'occhio-ingenuo-del-fanciullo che ammira le bellezze del creato. L'occhio di chi ha perso diottrie guardando per ore film e quadri, leggendo storie borgesiane e perdendosi nei labirinti, pensando che oggi Kafka potrebbe andare al cinema e sbucare dallo schermo, così da trovarsi davanti una platea di spettatori dormienti. L'occhio di chi pensa che fare i nani sulle spalle dei giganti – aggiungendo un pezzettino ai manufatti artistici che finora abbiamo amato o detestato – offre più soddisfazione che liberarsi dagli orpelli, tornare alla natura con i piedini nudi, ammirare il creato e scoprire che i tramonti sono tutti uguali (a questo scopo hanno inventato l'aperitivo alcolico: per meglio sopportarli nella loro cartolinità). E' il genere di film che meno amiamo: le immagini in libertà, vivaddio legate da uno stile che il presidente di giuria Nanni Moretti gli rimproverò, negandogli l'anno scorso a Cannes la Palma d'oro, deviata su Michael Haneke per “Amour”. Eppure questo Leos Carax ve lo consigliamo: puro piacere, per gli occhi e per la mente. Valga come garanzia ulteriore il nostro odio per “Gli amanti del Pont-Neuf”, tutta una barbonaggine con Juliette Binoche (da “Pola X”, dove il regista faceva a Herman Melville quel che i nazisti fecero alla Polonia, eravamo usciti). Un signore in limousine, il magnifico Denis Lavant - come il cinema viene dal circo e dalle fiere - si trucca e si cambia d'abito: una volta vecchietta che chiede la carità, un'altra volta Monsieur Merde, già visto in un episodio del film collettivo “Tokyo”. Non è un set, macchine da presa in giro non se ne vedono. Dev'essere la vita, con un ottimo servizio di travestimenti e un grandioso reparto sceneggiature. I grandi magazzini La Samaritaine, deserti e in attesa di ristrutturazione, riaprono per una canzone di Kylie Minogue.