
PAULETTE
So quello che fate, voglio partecipare anch'io”. La pensionata è decisa. In foulard sulla messa in piega e gli occhiali neri anche se è notte, lo chiede a tipacci in canottiera e giubbotto alla periferia di Parigi. Lei non si è mai mossa, da quando gestiva un ristorante con la bandiera tricolore, ora sostituito dal solito cinese, e vinceva il primo premio alle gare di crostata. Attorno a lei è cambiato tutto. Va a confessarsi da un sacerdote nero – ma lei non lo sa, quindi racconta il degrado e le schifezze degli immigrati. Odia il nipotino ricciuto e di colore, ne avrebbe preferito uno bianco e biondo. Spruzza lo spray al peperoncino anti stupro negli occhi di una poveretta che rovistando tra gli scarti del mercato le contende un mazzo di porri. Vedendo gli spacciatori dalla finestra capisce che quello è il modo per procurarsi lo schermo gigante che sogna da tempo (intanto le pignorano il vecchio, a tubo catodico). Ottenuto il suo panetto di hashish, gira per il quartiere e non accetta battute sull'età. L'11 settembre 2001 aveva apparecchiato per lei e per il marito morto da tempo, infastidita dall'unica immagine su tutti i canali (“sembra che lo facciano apposta”, neanche fosse lo stesso film a reti unificate). Ora al morto chiede consiglio, e ancora lo rimprovera per aver bevuto troppo facendo fallire il ristorantino di famiglia. “La vieille dame indigne” – evocata perfino da Carla Bruni in un'intervista di qualche giorno fa, è una presenza ricorrente nel cinema francese, meno nonnista e buonista del nostro – prepara dolcetti molto richiesti. L'anziana signora con la borsa a scacchi già di suo fa ridere, se circondata da punk, e naturalmente i poliziotti – tra cui il genero: “da quando prendete i neri per combattere la droga?” - la considerano innocua. Nel primo film di Jérôme Enrico, le vecchiette vengono malmenate e prese a calci, mentre i nipoti in cucina trafficano con certe superspezie (i biscotti e le meringhe finiscono nel piatto sbagliato, come no: conoscete un regista che abbia la tempra di rinunciare a una scena simile?). La matura spacciatrice, con bella mossa, è Bernadette Lafont, icona della Nouvelle Vague per aver lavorato con François Truffaut, Claude Chabrol, Jean Eustace. Il regista sembra non aver mai visto né la serie “Weeds” di Jenji Kohan né il film “L'erba di Grace”, di Nigel Cole con Brenda Blethyn.


Il Foglio sportivo - in corpore sano
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