UNA FRAGILE ARMONIA

Mariarosa Mancuso

    Il quartetto per archi numero 14 di Ludwig van Beethoven, opera 131, ha sette movimenti da eseguire senza pause per un totale di 40 minuti, abbastanza perché gli strumenti perdano l'accordatura. Lo impariamo da Christopher Walken, che ai suoi studenti cita anche i “Quattro quartetti” di T. S. Eliot. Composizione e poema non sono parenti, neppure alla lontana. Il regista e sceneggiatore israeliano li mette insieme a mo' di spiegazione anticipata del film. Gli piace infatti corteggiare gli spettatori che sempre dicono “ma perché non fanno più quei bei film di una volta?”, e nello stesso tempo non li considera abbastanza intelligenti per ricavare da soli la morale della favola. Quindi bisogna far sapere in anticipo che si tratterà di un quartetto musicale, insieme da 25 anni e a rischio di scordatura. Cause di forza maggiore – il Parkinson del violoncellista Peter, appunto Christopher Walken, fondatore Fugue – minano l'armonia tra i componenti, che sbandano per un po'. E bisogna mettere nella prima scena una meditazione sul presente, il passato e il futuro rubata al poeta della “Terra desolata”. La malattia scombina gli equilibri. E naturalmente salta fuori che i quattro non erano in pace come appare dalle foto sulle riviste. Il secondo violino Philip Seymour Hoffman vorrebbe fare il primo violino, almeno ogni tanto. La violista Catherine Keener – sposata con il sopraccitato secondo violino – ha rapporti complicati con gli altri due maschi del gruppo. Hanno una figlia, a complicare la faccenda, e la mandano a lezione di perfezionamento dal primo violino (scene di seduzione a mezzo archetto e crine di cavallo che neanche nel più kitsch dei romanzetti Harmony). Al poveretto con il Parkinson nessuno pensa più. I rancori saltano fuori, in dialoghi arabescati che sempre saltabeccano tra vita e musica, anche peggio dei dialoghi che intrecciano l'arte con la vita. Uno non vuol suonare il fatidico quartetto di Beethoven a memoria, l'altro gli urla “libera la tua passione”. Non ci crederete: nella scena dopo il musicista che aveva sempre scelto l'arte e trascurato la vita corre a concludere con la biondina che prima aveva respinto. Molta Julliard School, molta diteggiatura, molta saggezza del tipo “far parte di un quartetto fa diventare unici”, molta psicoanalisi da ridere: “cerca di essere meno anale”.