
CAPTAIN PHILLIPS – ATTACCO IN MARE APERTO
Pirati somali contro Tom Hanks. Barchetta e scala d'arrembaggio contro una nave carica di container. Trentamila dollari in cassaforte contro un riscatto che nelle intenzioni potrebbe fruttare qualche milione di dollari. Un equipaggio ben addestrato ma non armato, che conosce ogni anfratto della nave, e un gruppetto di disperati (uno scalzo, tutti piuttosto nervosi anche per via di certe foglie da masticare). In mano a Paul Greengrass, il regista di “Bloody Sunday” (la domenica di sangue in Irlanda del nord, il 30 gennaio 1972, quando l'esercito britannico sparò sulla folla che manifestava per i diritti civili) e di “United 93” (l'aereo che l'11 settembre avrebbe dovuto colpire il Pentagono e fu dirottato dai passeggeri, schiantandosi in Pennsylvania) è materia esplosiva. L'inglese adottato da Hollywood – ragazzino girava film in Super 8 come Steven Spielberg – sa inchiodare gli spettatori alla poltrona. Lo ha fatto in “The Bourne Supremacy” e “The Bourne Ultimatum – Il ritorno dello sciacallo”, thriller impolitici (se non per il complottismo). E nell'altro suo film con Matt Damon: “The Green Zone”, dove un ufficiale che somigliava terribilmente al non più smemorato Jason Bourne cercava armi di distruzione di massa e trovava fabbriche di cessi. “Captain Phillip – Attacco in mare aperto” scatena l'adrenalina. Claustrofobia come in aereo, e sulla maledetta nave nessuno chiude mai le griglie antipirati. Storia vera, raccontata in un libro dall'eroico capitano che dopo i quattro terribili giorni nel golfo di Aden – era il 2009 – ha ripreso il mare (aveva una trama simile “A Hijacking” del danese Tobias Lindholm: sempre pirati somali, budget risicato, lo stesso punteggio di “Captain Phillips” sul sito Metascore: 83 su cento). Femmine neanche a parlarne: la moglie Catherine Keener si leva cortesemente di mezzo dopo la prima scena, sovraccarica di cattivi presentimenti (si capisce che il regista vuole arrivare al dunque dopo aver sbrigato un po' di convenevoli che più avanti avrebbero rallentato l'azione). Eroe molto sulle sue, smorzando la simpatia che Tom Hanks porta in dote da “Forrest Gump”. Virili sguardi di sfida che in un film meno teso sarebbero risultati eccessivi, se non ridicoli. Un misto di astuzie da giochi infantili e tecnologia all'avanguardia. Recitazione su misura per l'Oscar, consideratelo già vinto.


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