LONE SURVIVOR

Mariarosa Mancuso

    Sopravvivenza nello spazio in “Gravity” di Alfonso Cuaron, con Sandra Bullock. Sopravvivenza in mare aperto in “All is Lost – Tutto è perduto” di J. C. Chandor, con Robert Redford. Sopravvivenza su un mercantile conquistato dai pirati somali in “Captain Philips” di Paul Greengrass, con Tom Hanks. Sopravvivenza di un giovane e impaurito soldato britannico a Belfast, divisa tra protestanti e cattolici e resa ancor più pericolosa dalle bande improvvisate e dagli infiltrati: era “71” di Yann Demange, uno dei pochi film in concorso alla Berlinale che si potevano vedere senza la tentazione di sbirciare ogni quarto d'ora l'orologio. “Lone Survivor” è il tipo di film che raramente viene invitato ai festival e che agli Oscar spunta al più una nomination per il montaggio e il missaggio del suono (è andata meglio con qualche premio e qualche candidatura minore, per Mark Wahlberg e per la sceneggiatura di Peter Berg, anche regista). Non può competere con “Zero Dark Thirty” di Kathryn Bigelow, concluso dalla cattura di Osama Bin Laden. Ma è comunque un film di guerra girato molto bene, tratto da una storia vera che risale al 2005. Il sopravvissuto solitario si chiama Marcus Luttrell, comandante dei Navy Seals in missione con altri tre uomini per catturare il capo dei talebani Ahmad Shah. Le sue memorie sono ancora più atroci e spaventose rispetto all'agguato che vediamo sullo schermo, seguito dal tentativo di salvarsi la vita e trovare un rifugio nonostante le ossa rotte e le ferite (al trucco, Corey Welk reduce dalla serie “Breaking Bad” ha scelto il realismo estremo). Accade che i nostri, in ricognizione e con qualche problema a comunicare con la base aerea di Bagram, sciaguratamente incontrino sulla loro strada il pastore con capretta e ragazzino. Nel cinema bellico è un chiaro segnale di pericolo, bisogna diffidare. I nostri però temono che uccidendo i civili saranno additati come barbari, che gli americani non hanno bisogno di altra cattiva fama, e nell'incertezza le cose precipitano. “Non è un'operazione maledetta, è l'Afghanistan”, è una delle ultime frasi intere che fanno in tempo a pronunciare. Purtroppo la prima mezz'ora ha lentezze da film d'altri tempi: indugia sull'addestramento e soprattutto sul soldato-che-si-sta-per-sposare, dunque dobbiamo aspettarci di vederlo morire per primo.