IL SUPERSTITE

Mariarosa Mancuso

    “Io ti troverò”. Aaron è l'unico sopravvissuto al disastro di un peschereccio, tra le vittime c'era suo fratello. Siamo in un villaggetto della Scozia, dopo i funerali i parenti in lutto tengono il superstite a distanza, quando non lo insultano e gli danno la colpa. Ha dalla sua la madre, per un po' anche la fidanzata del fratello. Storie di mostri marini e senso di colpa gli occupano la mente, per restituire la confusione il regista e sceneggiatore debuttante usa tutti i mezzi a disposizione: filmini in super 8, voci fuori campo, flash back, notiziari tv, ricordi e fantasie assortite, fantasmi, maschere di carnevale, interrogatori. Alterna le immagini a fuoco che illustrano il presente alle immagini sgranate con macchina a mano. Non è che Aaron fosse tanto socievole e sveglio neppure prima della tragedia, il fratello (che lo aveva voluto con sé a pesca) gli faceva da protettore. La fissazione lo spingerà di nuovo in mare: forse non sono morti, forse sto vivendo in un incubo. La scommessa è ambiziosa - il lavorìo del cervello che rimugina al cinema non sempre riesce bene - i risultati altalenanti, con qualche déjà vu di troppo. Si apprezza invece, pur nella cupaggine che non lascia scampo, la scelta degli attori: George MacKay, nella parte dell'ossessivo giovanotto, e la madre Kate Dickie (era in “Red Road”, primo film di Andrea Arnold: sulle telecamere di controllo spia chi le ha distrutto la famiglia ed è stato rimesso in libertà)  Tutto un cliché, fin dal titolo, è “Un ragionevole dubbio”, legal thriller girato – e rinnegato, ritirando la firma – dal Peter Howitt di “Sliding Doors”. Il procuratore Dominic Cooper vince tutte le cause, ha una bella moglie e una figlia piccola. Prende la macchina dopo una serata alcolica, per evitare gli agenti che lo inseguono per farlo soffiare nel palloncino mette sotto un pedone. Siamo a Chicago, le strade son ghiacciate, il nostro fugge dopo aver chiamato l'ambulanza. Il giorno dopo viene arrestato un presunto serial killer che cerca di scagionarsi dicendo di aver prestato soccorso al moribondo. Il procuratore se ne assume la difesa, in tribunale viene esibita come prova la telefonata di soccorso, e nessuno riconosce la voce del procuratore (il film deve pure andare avanti). Al primo e discutibile colpo di scena ne seguono altri, pescati dal mazzo con poca coerenza.