GRAND BUDAPEST HOTEL

Mariarosa Mancuso

    Schuhpalast Pinkus” è un film muto diretto nel 1916 da Ernst Lubitsch. Racconta la storia di Sally Pinkus, giovanotto che lascia la scuola per impiegarsi come ultimo dei commessi in un negozio di scarpe. Viene cacciato perché fa gli occhi dolci alla figlia del padrone. Il ragazzo è sveglio e non si perde d'animo: dalle giovanette in età da marito passa alle ricche signore, facendosi finanziare un emporio tutto suo. Specialità della casa numero 1: le scarpe hanno sulla suola un numero al di sotto del numero reale, per far felici le signore bugiarde che vanno fiere dei loro piedini da fata. Specialità della casa numero 2: il commesso diventato padrone ha l'abitudine, tra un paio provato e l'altro, di fare il solletico alle clienti scalze più carine. In Sally Pinkus c'è molto di Zero Mustafà, fattorino entrato senza esperienza al Gran Budapest Hotel di Nebelsbad, Repubblica di Zubrowska (Lubitsch nei suoi film l'avrebbe chiamata Sylvania). E c'è anche molto di Monsieur Gustave, concierge di gran fama anche per le cure che riserva alle clienti più anziane e danarose dell'albergo. L'adulto è Ralph Fiennes, il ragazzino che si disegna i baffetti con la matita è Tony Revolori. In un'intervista uscita sul sito Collider, il giovane attore – californiano di lontana ascendenza guatemalteca, recita da quando aveva due anni – racconta le cene assieme al resto del cast. Recitavano in un lussuoso Grand Hotel ricostruito dentro un grande magazzino in disuso di Görlitz, vestiti con i magnifici costumi di Milena Canonero. La sera si ritrovavano in un altro albergo, e anche per un ragazzo abituato a stare su un set Tilda Swinton e Bill Murray, Edward Norton e Willem Dafoe, Adrian Brody e Bob Balaban – tutti disposti a chiacchierare amabilmente svelando aneddoti della loro carriera sono un bello spettacolo. L'intervistatore chiede a Tony Revolori dei “Courtesan au chocolat”, triplo bignè della pasticceria Mendel's che li impacchetta in deliziose scatole rosa. Risposta: “Non so che sapore abbiano, a sei anni ho scoperto di essere allergico e non ho mai più mangiato un pezzetto di cioccolata”. L'ultima casa di bambola messa in scena da Wes Anderson è un incanto, con le sue storie dentro le storie. Tre formati cinematografici e tre tavolozze di colori accompagnano l'incupirsi dei tempi, dagli anni Trenta di Stefan Zweig a oggi.