IN ORDINE DI SPARIZIONE

Mariarosa Mancuso

    Caro Bruno Ganz, eravamo ormai rassegnati alla perdita. Troppi film da “attore per signore”: la serie cominciò con “Pane e tulipani” di Silvio Soldini, dove la casalinga lasciata all'autogrill dal marito distratto si incapricciava del cameriere islandese con un italiano da libretto d'opera; l'ultimo titolo pervenuto è “La sparizione di Giulia” del regista svizzero Christoph Schaub. Troppi film scarsi di attrattiva quanto sovraccarichi di pretese intellettuali: nell'elenco, “La mia fine è il mio inizio” (sul guru Tiziano Terzani, ma quando la finiranno?); “Un'altra giovinezza” di Francis Ford Coppola (tratto da Mircea Eliade); “Treno di notte per Lisbona” (la trama abbiamo vergogna a scriverla: professore depresso, dopo aver salvato una ragazza in procinto di buttarsi dal ponte, corre a Lisbona sulle tracce di un poeta locale, e sì certo, c'entra la dittatura di Salazar). Troppi anni perduti dopo “La marchesa von…” di Eric Rohmer, tratto dal racconto di Heinrich Von Kleist. Per aggravare la sofferenza, abbiamo visto a Cannes “Amour fou”, il film di Jessica Hausner sul poeta tedesco che proponeva alle morose un doppio suicidio (una ben disposta la trovò, si chiamava Henriette Vogel): non potevamo credere che fosse la stessa regista di “Lourdes”. E ora finalmente – dopo il dittatore con i baffetti che nelle parodie su internet impreca contro qualsiasi cosa, dall'iPhone 5 a Schettino che abbandona la Costa Concordia – Bruno Ganz ha un ruolo per cui valeva la pena di aspettare. Boss della mafia serba, con berretto di astrakan, cappottone, un rantolo così incomprensibile che per capire gli ordini serve l'interprete. Se la vede con il gangster locale, un vegano vestito da dandy. Capita lassù in Norvegia, dove fa freddo anche d'estate figuriamoci d'inverno. Ma come sappiamo da “Fargo” dei fratelli Ethan e Joel Coen, il sangue sulla neve sta un gran bene. Dirige Hans Petter Moland, che in una passata Berlinale ci aveva divertito fino alle lacrime con “A Somewhat Gentle Man”, sempre con l'impassibile Stellan Skarsgård. Lì era uscito di galera, qui lo hanno appena premiato come concittadino dell'anno, di mestiere guida un gigantesco spazzaneve. Quando gli ammazzano il figlio scatta la vendetta. E comincia una spassosa conta dei morti. Ognuno ricordato da un cartello con il nome, il cognome, la religione di riferimento.