WALESA - L'UOMO DELLA SPERANZA

Mariarosa Mancuso

    La più grande giornalista dell'ovest arriva con l'autista-traduttore, incuriosita perché Lech Walesa abita con moglie e figliolanza in un casermone alla periferia di Danzica (non bastasse, messo a disposizione dai nemici che sta combattendo). Siamo nel 1981, Oriana Fallaci risulta più ingenua del necessario: si capisce che il dialoghetto ha mire didattiche, giusto per far dire all'interprete che sta al volante “Walesa è l'uomo dei paradossi”. Funziona, però. Come funziona l'intreccio tra materiali d'archivio e scene ricostruite nell'ultimo film di Andrzej Wajda, 88 anni compiuti lo scorso marzo. Unghie scarlatte in tinta con il rossetto, taccuino foderato con il giglio di Firenze, sigaretta sempre accesa, anelli preziosi alle dita. L'attrice è Maria Rosaria Omaggio (in prima battuta il regista polacco aveva scelto Monica Bellucci, che non aveva il fisico né la grinta necessari). “Bisogna capire se con questa intervista ci guadagno o ci perdo”, attacca il capo di Solidarnosc, beccandosi per risposta – dalla “befana arrogante”, come la chiama l'unico sindacalista mai entrato nelle grazie di Margaret Thatcher – “qui le domande le faccio io”. Prima, ha rifiutato camicia bianca e cravatta che la moglie Danuta ha amorosamente preparato (se l'occidente vuol sapere chi sei, l'occasione meriterebbe il vestito della festa). Cornice non originalissima e volutamente melò per tornare indietro agli anni 70, al lavoro di elettricista, alla convinzione che la lotta dovesse partire dalle scarpe, dai calzini, dal pane che aumenta di prezzo. Non dall'etica del lavoro come volevano gli intellettuali, comunque impressionati dal fatto che Walesa fosse l'unico della classe operaia a presentarsi sobrio. Gli altri sindacalisti pensano solo a organizzarsi le ferie, il regime cerca di arruolare come spia il capopopolo che avvierà lo sgretolamento del Muro di Berlino, al cantiere navale salta la corrente (“lavorerete di notte”) e mancano le lamiere. Il doppiaggio italiano poteva essere meglio sincronizzato, qualche scena si poteva sforbiciare, ma la forza del personaggio – e la simpatia dell'attore Robert Wieckiewicz con i baffoni – evitano l'effetto santino. Wajda aggiunge un bel terzo capitolo alla storia della Polonia avviata nel 1977 con “L'uomo di marmo” (Mateusz Birkut, operaio stakanovista negli anni staliniani) e proseguita con “L'uomo di ferro”, record di incassi in patria e Palma d'oro a Cannes.