RIO 2096 – UNA STORIA D'AMORE E DI FURIA

Mariarosa Mancuso

L’animazione, in questo caso, fa risparmiare. Ma non erano i film più costosi della terra, quelli disegnati o fabbricati al computer? Lo sono, se li gira la Pixar riscrivendo le sceneggiature fino allo spasimo e superando un ostacolo tecnico alla volta: prima le superfici lisce e plasticose dei giocattoli, poi la pelliccia dello spaventatore professionista Sulley, poi l’acqua e le meduse attorno al pesciolino Nemo, poi il muschio e i riccioli ribelli della principessina scozzese Merida in “Ribelle – The Brave”. Non lo sono, se vige l’arte di arrangiarsi: una battaglia disegnata risulta meno costosa di una battaglia con i cavalli e gli stuntman (quando chiesero a un gruppo di scrittori svizzeri una serie di sceneggiature per un film a episodi atto a celebrare la nascita della Confederazione, i costi salirono alle stelle: un conto è scrivere “diligenza sul San Gottardo, sotto una tempesta di neve”, un conto è mostrarla sullo schermo). Vale per il bellissimo “L’arte della felicità” di Alessandro Rak, che mostra Napoli vista dall’alto e sotto la pioggia: inquadrature per cui sarebbe servito l’elicottero, e un diluvio prolungato per i giorni necessari alle riprese. Vale per “Rio 2096”, raro film brasiliano che si possa vedere senza sbadigliare. Devono aver preso qualcosa, dal Cinéma Nôvo di Glauber Rocha in poi, che rende le pellicole soporifere (anche la madre patria portoghese non scherza, con il più che centenario Manoel De Oliveira: ultimo film pervenuto “Gebo e l’ombra”). Quattro episodi, dal 1654 quando “brasile” era solo il nome di un albero fino al 2096, in un futuro post-apocalittico segnato dalle guerre per l’acqua. In mezzo, il secolo degli schiavi e gli anni 70 della dittatura. il cattivo si chiama Anhangà, spirito della foresta e signore della morte, alleato con i mercanti di uomini e i capitalisti tutti. L’eroe buono e giusto e immortale lo contrasta ogni volta che può, trasformandosi in uccello tra una fatica e l’altra. I disegni e l’animazione sono splendidi a dispetto del budget ridotto, a tratti ricordano “Walzer con Bashir”, il primo film dell’israeliano Ari Folman. Meritavano una sceneggiatura migliore: man mano che i secoli trascorrono l’ideologia prende il sopravvento e traspare l’intento educativo del regista Luiz Bolognesi verso “i giovani che non conoscono la storia del paese dove sono nati”.  

 

Di più su questi argomenti: