IL FUOCO DELLA VENDETTA - OUT OF THE FURNACE

Mariarosa Mancuso

Date una cittadina con altoforno a una scrittrice italiana, ne verrà fuori “Acciaio” di Silvia Avallone. Da un’acciaieria e un pugno di case il regista Scott Cooper e lo sceneggiatore Brad Inglesby tirano fuori “Il fuoco della vendetta”.

Date una cittadina con altoforno a una scrittrice italiana, ne verrà fuori “Acciaio” di Silvia Avallone: crisi adolescenziali a Piombino, madri rassegnate e padri padroni, piccole truffe, un incidente con il caterpillar (dopo tanti tormenti da muretto e droghe da discoteca, sullo sfondo l’Isola d’Elba come paradiso sognato e irraggiungibile, serviva un po’ di dramma). Da un’acciaieria e un pugno di case (siamo a Braddock, Pennsylvania, 2912 abitanti) il regista Scott Cooper e lo sceneggiatore Brad Inglesby tirano fuori “Il fuoco della vendetta”: reduci dall’Iraq, vite rovinate per un incidente in macchina, vendetta privata, fratelli così legati che la caduta di uno trascina giù anche l’altro. La trama è puntellata di tragedie (alcune più prevedibili di altre). Il cast è ricco di attori bravissimi. Annerito dal fumo della fornace e dalla ruggine che ha invaso il paesello dopo la crisi dell’acciaio, il trasformista Christian Bale nel film si chiama Russell, ha un lavoro e una fidanzata bella come Zoe Saldana (fuori da “Avatar”, finalmente, senza la pelle blu e le treccine da principessa Na’vi). Casey Affleck è Rodney, il fratello scapestrato che per sfuggire all’altoforno ha combattuto tre volte in Iraq e intende tornarci appena glielo consentono. Woody Harrelson aggiunge un altro personaggio alla sua lista di balordi con tendenze sadiche. Se non vi bastano, ci sono Forest Whitaker, Sam Shepard e Willem Dafoe (l’ultima occasione per vederlo prima che il “Pasolini” di Abel Ferrara lo inchiodi all’immagine dello scrittore che si levava la giacca e giocava a calcio con i ragazzi di borgata). Luoghi e parte della trama ricordano “Il cacciatore” di Michael Cimino, con l’Iraq che sta al posto del Vietnam. Ex attore passato dietro la macchina da presa per dirigere Jeff Bridges in “Crazy Heart” (premio Oscar all’attore e alla canzone nel 2010), Scott Cooper fa sapere nei titoli di coda di aver usato solo pellicola Kodak a 35 millimetri. Ne va fiero, ora che tutti usano il digitale. Come va fiero del direttore della fotografia Masanobu Takayanagi, bravissimo a trasferire sullo schermo i colori spenti della sporcizia, della desolazione, delle case operaie, del carcere. Riconosciute le cose belle, non possiamo però fare a meno di notare che la curiosità per le prime scene cala con il procedere del film. La trama “disgrazia chiama disgrazia” richiede autocontrollo. Metterci tutto è controproducente.

Di più su questi argomenti: